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Par metanoia1 le 25 Septembre 2010 à 13:42
Eugen HerrZgel
LO ZEN E IL TIRO
CON L'ARCO
TITOLO ORIGINALE:
Zen in der Kunst des Bogenschiessens
Eugen Herrigel (1884-1955) insegnava fi-
losofia a Heidelberg quando, nel 1924, fu
invitato a tenere dei corsi all'Universit…
Imperiale di Sendia, in Giappone. Tor-
nato, dopo parecchi anni, in Europa, pub-
blicò nel 1948 questo libretto che ha avuto
da allora una grande fortuna in molti
paesi.
A Daisetz Teitaro Suzuki (1869-1966) si
deve principalmente l'introduzione dello
Zen nella cultura occidentale, attraver-
so numerosi libri, e soprattutto i classici
Essays in Zen Buddhism.
Eugen HerrZgel
LO ZEN E IL TIRO
CON L'ARCO
TITOLO ORIGINALE:
Zen in der Kunst des Bogenschiessens
INTRODUZIONE
di Daisetz T. Suzuki
Uno degli elementi essenziali nell'esercizio del tiro
con l'arco e delle altre arti che vengono praticate in
Giappone e probabilmente anche in altri paesi dell'E-
stremo Oriente È il fatto che esse non perseguono alcun
fine pratico e neppure si propongono un piacere pura-
mente estetico, ma rappresentano un tirocinio della
coscienza e devono servire ad avvicinarla alla realt…
ultima. Cos il tiro con l'arco non viene esercitato
soltanto per colpire il bersaglio, la spada non s'impu-
gna per abbattere l'avversario, il danzatore non dan-
za soltanto per eseguire certi movimenti ritmici del
corpo, ma anzitutto perch‚ la coscienza si accordi
armoniosamente all'inconscio.
Per essere veramente maestro nel tiro con l'arco la
conoscenza tecnica non basta. La tecnica va superata,
cos che l'appreso diventi un'arte inappresa ', che
sorge dall'inconscio.
Nel caso del tiro con l'arco questo significa che il
tiratore e il bersaglio non sono pi— due cose contra-
poste, ma una sola realt…. L'arciere non È pi— consa-
pevole d'essere uno che ha da colpire il bersaglio
davanti a lui. Ma questa condizione di inconsapevo-
lezza egli la raggiunge solo se È perfettamente libero e
distaccato d .s‚, se È tutt'uno con la perfezione della
sua abilit… tecnica. una cosa tutta diversa da ogni
progresso che potrebbe esser raggiunto nell'arte del
tiro con l'arco. Questa cosa diversa, che appartiene a
tutt'altro ordine di cose, viene chiamata satori.
intuizione, che però differisce del tutto da ciò che
generalmente viene chiamato intuizione. Perciò io la
chiamo intuizione prajna. Prajna può essere defi-
nita saggezza trascendentale,. Ma anche questa
espressione non rende tutte le sfumature contenute
nella parola, perch‚ prajna È un'intuizione che
afferra immediatamente la totalit… e l'individualit…
di tutte le cose. un'intuizione che senza alcuna
riflessione riconosce che lo zero È infinito e l'infinito
È zero; e questo non s'intende in senso simbolico
o matematico, ma È un'esperienza per percezione
diretta.
Perciò satori, in termini psicologici, È un `oltre' i
confini dell'Io. Da un punto di vista logico È
scorgere la sintesi dell'affermazione e della negaziO-
ne, in termini metafisici È afferrare intuitivamente
che l'essere È il divenire e il divenire l'essere.
La diversit… caratteristica tra lo Zen e tutte le altre
dottrine religiose, filosofiche o mistiche È il fatto che
lo Zen non esce mai dalla nostra vita quotidiana e
che, nonostante tutta la gamma delle sue applicaziO-
ni pratiche e tutta la sua concretezza, ha in s‚
qualcosa che lo pone al di fuori della contaminazio-
ne e del tumulto del teatro del mondo.
Qui tocchiamo il rapporto tra lo Zen e il tiro con
l'arco o le altre arti come il tirare di spada, il
disporre fiori, la cerimonia del tÈ, la danza e le arti
figurative.
Zen È la coscienza quotidiana , come l'ha definito
Matsu (morto nel 788). Questa coscienza quoti-
diana, non È altro che dormire quando si È
stanchi, mangiare quando si ha fame . Non appena
noi consideriamo, riflettiamo e formiamo concetti,
l'inconsapevolezza originaria va perduta e sorge un
pensiero. Non mangiamo pi— quando mangiamo,
non dormiamo pi— quando dormiamo. La freccia È
scoccata, ma non vola diritta al bersaglio, e anche il
bersaglio non È l… dove deve stare.
L'uomo È un essere pensante, ma le sue grandi opere
vengono compiute quando non calcola e non pensa.
Dobbiamo ridiventare come bambini " attraverso
lunghi anni di esercizio nell'arte di dimenticare se
stessi. Quando questo È raggiunto, l'uomo pensa
eppure non pensa. Pensa come la pioggia che cade
dal cielo; pensa come le onde che corrono sul mare;
pensa come le stelle che illuminano il cielo notturno;
come le foglie verdi che germogliano sotto la brezza
primaverile. Infatti È lui stesso la pioggia, il mare,
le stelle, il verde. Quando l'uomo ha raggiunto
questo grado di sviluppo spirituale' È un maestro
Zen della vita. Non ha bisogno, come il pittore, di
tela, pennello e colori. Non ha bisogno, come
l'arciere, di arco e freccia e bersaglio o di altri
accessori. Ha le sue membra, il suo corpo, la testa e
cos via. La sua Zita nello Zen si esprime attraverso
tutti questi `strumenti', che sono importanti come
forme della sua manifestazione. Le sue mani e i suoi
piedi sono i pennelli, e il mondo intero È la tela su
cui dipingere la sua vita per settanta, ottanta,
novanta anni. Tale quadro si chiama `'storia'.'.
Hoyen di Gosozan (morto nel 1104) dice: Ecco un
uomo che trasforma lo spazio vuoto in un foglio di
carta, le onde del mare in un calamaio e il monte
Sumeru in un pennello e scrive le cinque sillabe: so
- shi - sai - rai - i. (Queste cinque sillabe cinesi,
tradotte letteralmente, significano: "la ragione peZ-
cui il primo patriarca È venuto dall'Occidente".
Questo tema rappresenta spesso il contenuto di un
mondo.* lo stesso che chiedere dell'essenza dello
Zen. Se si comprende questo, Zen È questo corpo
stesso. A lui io do il mio zagu (zagu È uno degli
oggetti che porta con s‚ il monaco Zen. Lo stende
davanti a s‚ quando s 'inchina al Buddha o al maestro
e m ' inchino profondamente davanti a lui ". Si potreb-
be chiedere che cosa significhi questo fantasioso modo
di scrivere. Perch‚ un uomo che È capace di questo È
degno della massima venerazione? Un maestro Zen
risponderebbe forse: mangio quando ho fame, dor--
mo quando sono stanco,. Ma il lettore penser… che la
domanda sul tiro con l'arco non abbia ancora trovato
risposta.
In questo meraviglioso libro il professor Herrigel, un
filosofo tedesco che È verculo in Giappone e si È eserci-
tato nell'arte del tiro con l'arco per comprendere lo
Zen, d… un illuminato ragguaglio della propria ese-
rienza. Il suo linguaggio permetter… al lettore occi-
dentale di anicinare questa esperienza orientale, cos
singolare e all'apparenza inaccessibile.
Ipswich, Massaehusetts, maggio 1953
* mondo: scambio di battute, sotto forma di botta e
risposta, tradizionale dello Zen (Il'.d. T. ).
Veder collegare lo Zen - qualunque cosa
s'intenda per esso - con il tiro con l'arco
deve apparire alla prima un intollerabile
avvilimento. Anche se per generoso spirito
di conciliazione si accettasse di considerare
il tiro con l'arco un'"arte', difficilmente si
sarebbe disposti a cercare in essa qualcosa
di diverso da una prestazione chiaramente
sportiva. Gi si aspetter… dunque di sentir
parlare di mirabolanti prodezze di maestri
d'arco giapponesi, i quali hanno il privile-
gio di potersi richiamare a una veneranda
tradizione nell'uso dell'arco e delle frecce
mai definitivamente abbandonata. Sono in-
fatti soltanto poche generazioni che nell'E-
stremo Oriente le armi moderne hanno sop-
piantato, s'intende in caso di guerra, i vec-
chi strumenti di combattimento; ma l'uso di
questi non venne mai interrotto e continuò
a diffondersi, e da allora viene coltivato in
una cerchia sempre pi— vasta. Gi si atten-
der… dunque una descrizione del modo par-
ticolare con cui si pratica poi in Giappone
il tiro con l'arco come sport nazionale?
Nulla di pi— errato di tale supposizione. Pr'r
tiro con l'arco in senso tradizionale, che di
stima come arte e onora come retaggio, il
giapponese non intende uno sport, ma, per
strano che possa apparire, un rito. E cos
per `arte' del tiro con l'arco egli non intende
una abilit… sportiva raggiunta pi— o meno
compiutamente attraverso un esercizio in
prevalenza fisico, ma una capacit… acqui-
stata attraverso esercizi spirituali e che mi-
ra a colpire un bersaglio spirituale: cos
dunque che l'arciere, in fondo, prenda di
mira e forse arrivi a cogliere se stesso.
Questo suona indubbiamente enigmatico.
come, si dir…, il tiro con l'arco, un tempo
esercitato nella lotta per la vita e per la
morte, non si sarebbe salvato nemmeno co-
me sport concreto, ma sarebbe divenuto un
esercizio spirituale? A che scopo allora arco
e freccia e bersaglio? Non si È rinnegato cos
l'antica arte virile e il significato chiaro e
onesto del tiro con l'arco per sostituirlo con
qualcosa di nebuloso, se non addirittura di
fantastico?
Va però considerato che da quando non ha
pi— bisogno di affermarsi in competizioni
cruente, lo spirito specifco di quest'arte È
emerso ancora pi— immediato e convincente
- non È stato dunque necessario forzarne
l'interpretazione attribuendolo solo recen-
temente alla pratica dell'arco e della freccia
perch‚ È stato sempre legato a essa. Perciò
non È affatto vero che la tecnica tradizionale
del tiro con l'arco, da quando questo ha
perso la sua funzione in combattimento, si
sia trasformata in un piacevole passatempo,
ma con ciò abbia perso anche ogni morden-
te. La `Grande Dottrina' del tiro con l'arco
ne parla ben diversamente. Per essa il tiro
con l'arco ora come allora È una faccenda di
vita e di morte, in quanto È lotta dell'arciere
con se stesso; e una lotta di questo genere
non È un misero surrogato, ma il fondamen-
to di ogni lotta rivolta all'esterno - e sia
pure come un avversario in carne e ossa.
in questa lotta dell'arciere con se stesso che
si rivela veramente la natura segreta di que-
st'arte, e l'insegnamento che vi conduce
non le toglie nulla di essenziale quando ri-
nuncia a quella applicazione pratica richie-
sta in altri tempi dal combattimento caval-
leresco.
L'evoluzione storica offre dunque a chi oggi
s'impegna in questa arte l'innegabile van-
taggio di non dover cedere alla tentazione
di turbare, se non addirittura d'impedire, la
comprensione della `Grande Dottrina' po-
nendosi degli scopi pratici, anche se incon-
fessati a se stesso. Poich‚ accedervi - e in
questo concordano i maestri d'arco di ogni
tempo - È concesso soltanto a coloro che
siano di cuore `puro', libero da secondi fini.
Se partendo di qui si chiede ai maestri d'ar-
co come vedano e rappresentino questa lot-
ta dell'arciere con se stesso, la loro risposta
apparir… del tutto enigmatica. Perch‚ per
essi la lotta consiste nel fatto che il tiratore
mira a se stesso - eppure non a se stesso - e
ciò facendo forse coglie se stesso - e anche
qui non se stesso - e cos È insieme miratore
e bersaglio, colui che colpisce e colui che È
colpito. Oppure, per servirmi di espressioni
care a quei maestri, bisogna che l'arciere
pur operando, diventi un immobile centro.
E allora avviene la cosa suprema e ultima:
l'arte diventa senz'arte, il tiro un non-tiro
un tiro senz'arco n‚ freccia; l'insegnante
ridiventa allievo, il maestro un principian-
te, la fine un principio e il principio un
compimento.
All'uomo dell'Estremo Oriente queste for-
mule misteriose sono trasparenti e familiari.
Noi invece ne restiamo indubbiamente di-
sorientati. Perciò non possiamo far altro che
risalire pi— lontano ancora. Da parecchio
tempo non È un segreto neppure per noi
europei che le arti giapponesi, per la loro
forma intrinseca, risalgono a una radice co-
mune: il buddhismo. Questo vale nella stessa
misura e nello stesso senso tanto per il tiro
con l'arco quanto per la pittura con l'in-
chiostro di china, per l'arte drammatica
non meno che per la cerimonia del tÈ, l'arte
di disporre i fiori e la maestria nel maneggio
della spada. Giò significa in primo luogo
che esse tutte presuppongono e coltivano
consapevolmente, ciascuna secondo il suo
carattere particolare, un atteggiamento spi-
rituale che nella sua forma pi— elevata È
proprio del buddhismo e porta i tratti del-
l'uomo sacerdotale. certo non si tratta qui
del buddhismo dichiaratamente speculativo,
il solo che, attraverso i suoi testi apparente-
mente accessibili, si conosca e addirittura si
pretenda di comprendere in Europa, ma del
buddhismo Dhyana, che in Giappone si
chiama Zen; e questa specie del buddhismo
non vuol essere speculazione, ma diretta
esperienza di ciò che, in quanto fondo senza
fondo dell'essere, non può essere concepito
intellettualmente, anzi non può essere affer-
rato e spiegato neppure dopo che se ne È
fatto esperienza, per quanto precisa e inop-
pugnabile: lo si conosce non conoscendolo.
Per amore di queste esperienze decisive il
buddhismo Zen segue vie che per mezzo di
una meditazione praticata metodicamente
devono condurre a scoprire nel pi— profon-
do dell'anima quell'indicibile senza fondo
n‚ forma, anzi a divenire tutt'uno con esso.
Riferito al tiro con l'arco, questo significa
sia pure con definizione provvisoria e perciò
discutibile, che gli esercizi spirituali a cui
solo si deve che la tecnica del tiro con l'arco
diventi arte, e, se possibile, trovi il suo com-
pimento come arte senz'arte, sono esercizi
mistici. Il tiro con l'arco non mira quindi in
nessun caso a conseguire qualcosa d'ester-
no, con arco e freccia, ma d'interno e con se
stesso. Arco e freccia sono per cos dire solo
un pretesto per qualcosa che potrebbe acca-
dere anche senza di essi, solo la via verso
una meta, non la meta stessa, solo supporti
per il salto ultimo e decisivo.
Di fronte a questi dati di fatto e nel deside-
rio di approfondirli, niente sarebbe pi— au-
gurabile che potersi riferire a esposizioni di
buddhisti Zen. E in verit… non ne mancano.
Cos, ad esempio, D.T. Suzuki nei suoi Es-
says on Zen Buddhism [Saggi sul buddhismo
Zen] ha potuto dimostrare che la cultura
giapponese e lo Zen sono legati intimamen-
te, cos che le arti giapponesi, l'atteggia-
mento spirituale dei samurai, lo stile di vita,
la vita morale, estetica e in certa misura
perfino intellettuale dei giapponesi devono
il loro carattere particolare a questo fonda-
mento Zen e perciò sfuggono alla perfetta
comprensione di chi non ha familiarit… con
esso.
Gli importantissimi scritti di Suzuki, come
pure le ricerche di altri studiosi giapponesi,
hanno destato un giustificato interesse. Og-
gi si riconosce senz'altro che il buddhismo
Dhyana, nato in India e giunto, dopo pro-
fondi mutamenti, alla sua piena fioritura in
Cina, accolto infine in Giappone e coltivato
fino ad oggi in una tradizione sempre viva-
che questo Zen, dunque, aprirebbe la via a
modi finora insospettati dell'esistenza uma-
na, la cui conoscenza avrebbe un valore
inestimabile.
Malgrado tutte le fatiche dei divulgatori
dello Zen, la conoscenza che noi europei
abbiamo potuto acquistarne finora È indub-
biamente insufficiente. Quasi che esso si
opponesse a un maggiore approfondim nto,
il tentativo di indovinarne, di penetrarne
~- 1 essenza, cozza dopo pochi passi contro
barriere insormontabili. Avvolto da tenebre
impenetrabili, lo Zen appare il pi— singola-
re degli enigmi che lo spirito dell'Estremo
Oriente ci abbia proposto: insolubile eppu-
re di irresistibile fascino.
La ragione di questa dolorosa difficolt… di
accesso va ricercata in qualche modo nello
stile delle esposizioni che lo Zen ci ha offer-
to finora. Nessuna persona ragionevole pre-
tender… che il seguace dello Zen cerchi an-
che solo di parafrasare le esperienze che lo
hanno liberato e trasformato, l'inconcepibi-
le e indicibile 'verit…' di cui ormai vive. Da
questo punto di vista lo Zen È affine alla
pura mistica contemplativa. Chi non ha
avuto esperienze mistiche, checch‚ egli fac-
cia, rester… fuori. Questa legge, cui obbedi-
sce ogni mistica genuina, non ammette ec-
cezioni. N‚ la contraddice il fatto che vi sia
una profusione di testi Zen ritenuti sacri
Ma questi, per loro natura, rivelano il loro
senso vivificante solo a colui a cui sono state
concesse tutte le esperienze decisive e perciò
È in grado di trarre da quei testi la conferma
dI Ciò che, indipendentemente da essi, gi…
possiede, gi… È. Di fronte a chi non ha vissu-
to quelle esperienze, essi invece non solo
restano muti - come potrebbe egli essere in
grado di leggere per cos dire tra le righe?-
ma io conducono inesorzbilmente in un nl-
sperato labirinto spirituale, anche se egli vi
si avvicina con prudente cautela e pieno
abbandono. Lo Zen, come ogni mistica,
può esser compreso solo da chi È egli stesso
un mistico e perciò non cade nella tentazio-
ne di carpire per altre vie ciò che l'esperien-
za mistica gli nega.
Ma l'uomo che lo Zen ha trasformato e
purificato col 'fuoco della verit…' conduce
un'esistenza troppo convincente perch‚
passi inavvertita. Non È dunque presunzio-
ne se colui che, spinto da una misteriosa
affinit… spirituale, vorrebbe trovare accesso
a quella forza senza nome che opera cose
cos grandi - chi È solo curioso non ha dirit-
to di avanzare pretese - s'attende che in
cambio il seguace dello Zen gli descriva
almeno la via che conduce alla meta. Nes-
sun mistico e quindi anche nessun seguace
dello Zen È, gi… al primo passo, colui che
può divenire quando abbia raggiunto il suo
compimento. Quante cose deve superare e
lasciare dietro di s‚ per incontrare final-
mente la verit…! Quante volte, sul suo cam-
mino, lo tormenta il sentimento sconsolato
di cercare l'impossibile! Eppure viene il
giorno che questo impossibile È diventato
possibile, anzi persino ovvio. Non È dunque
lecito sperare che l'accurata descrizione di
tale lungo e faticoso cammino permetta al-
meno di chiedersi: voglio tentarlo?
Ma tali descrizioni della via e delle sue
varie stazioni mancano quasi totalment‚
nella letteratura dello Zen. Questo dipende
per un verso dal fatto che proprio il seguace
dello Zen si rifiuta decisamente di dare, per
cos dire, istruzioni per la vita beata. Egli sa
per propria esperienza che nessuno può
mtraprendere questa via senza la guida
scrupolosa di un esperto maestro, n‚ con-
durla a termine senza il suo aiuto. Non
meno determinante, d'altra parte, È il fatto
che le sue esperienze, i suoi superamenti, le
sue trasformazioni, fino a che sono ancora
SUOi, dovranno continuamente venir supe-
rati e trasformati, fino a che sia distrutto
tutto ciò che È 'suo'. Perch‚ soltanto cos si
acquista una base per esperienze che, in
quanto 'verit… universale', lo risveglieranno
a una vita che non È pi— la sua vita persona-
le e quotidiana. Egli vive, ma non È pi— lui
che vive.
Da ciò si comprender… perch‚ il seguace
dello Zen eviti di parlare di s‚ e del suo
cammino spirituale. Non perch‚ lo ritenga
loquacit… immodesta, ma perch‚ lo conside-
ra addirittura un tradimento verso lo Zen.
Gi… soltanto decidersi a dire qualcosa sullo
Zen gli impone un severo esame. Il ricordo
di uno dei pi— grandi maestri, che alla do-
manda che cosa fosse lo Zen non si mosse e
non parlò come se non l'avesse neppure
udita, lo mette in guardia. E lui dovrebbe
cedere alla tentazione di render conto di s‚,
di ciò che ha gettato via e che non rimpian-
ge?
Stando cos le cose, sarebbe ingiustificabile
se volessi continuare a offrire formule para-
dossali e tentassi di cavarmela con parole
grosse. Quando invece il mio proposito È
proprio di far luce sulla natura dello Zen
mostrando in che modo si manifesti in una
delle arti che portano la sua impronta. Tale
luce non È certo ancora illuminazione nel
significato fondamentale che questa parola
ha per lo Zen, ma almeno indica che ci deve
essere qualcosa che si cela allo sguardo co-
me dietro a impenetrabili pareti di nebbia
e, come il baleno, annuncia il lontano fulmi-
ne. L'arte del tiro con l'arco, cos intesa,
rappresenta quasi una propedeutica allo
Zen e permette attraverso atti ancora tutti
tangibili di chiarire degli accadimenti che
di per s‚ non sono pi— comprensibili. Di
fatto, sarebbe senz'altro possibile tracciare
una via verso la via dello Zen a partire da
ciascuna delle arti che abbiamo citato.
Ma penso che il modo pi— efficace per rag-
giungere il mio scopo sia quello di descrive-
re la via che ha da percorrere chi voglia
apprendere l'arte del tiro con l'arco. E pi—
precisamente voglio tentare di raccontare
dell'insegnamento, durato quasi sei anni,
che ricevetti da uno dei pi— grandi maestri di
quest'arte durante il mio soggiorno in Giap-
pone. Sono dunque esperienze personali
che legittimano questo mio tentativo. Ma
per essere in qualche modo compreso- ch‚
gi… tale introduzione allo Zen cela in s‚
non pochi enigmi - non mi resta che
ricordare nei loro particolari tutte le resi-
stenze che dovetti superare e tutte le
inibizioni da cui dovetti liberarmi prima di
riuscire a penetrare nello spirito della
Grande Dottrina. Parlerò dunque di me
stesso solo perch‚ non vedo altra via per
raggiungere lo scopo che mi sono proposto.
Per la stessa ragione mi limiterò a descri-
vere solo l'essenziale, per dare a esso il
massimo rilievo. Rinuncio consapevolmen-
te a rappresentare la cornice entro la qua-
le ebbe luogo l'insegnamento, a rievocare
scene che mi sono rimaste impresse nella
memoria, e anzitutto a tracciare un ritratto
del Maestro - per quanto allettante possa
essere tutto questo. Si tratter… sempre e
soltanto dell'arte del tiro con l'arco, che mi
sembra talvolta ancor pi— difficile descrive-
re che non apprendere, e la descrizione ci
porter… fino a quel punto in cui si comin-
ciano a intravedere quei lontanissimi oriz-
zonti dietro ai quali respira lo Zen.
E necessario che io spieghi perche mi sono
rivolto allo Zen e perch‚ a tale fine abbia
voluto imparare proprio l'arte del tiro con
l'arco. Gi… da studente, quasi obbedendo a
un impulso segreto, mi ero occupato a fon-
do di mistica, nonostante che lo spirito del-
l'epoca fosse poco portato a tali interessi.
Malgrado i miei sforzi mi resi sempre pi—
conto che non potevo accostarmi agli scritti
mistici se non dal di fuori e che sapevo
circoscrivere ciò che si chiama il fenomeno
mistico senza però riuscire a varcare il cer-
chio che circonda il mistero come di un alto
muro. Anche nella vasta letteratura sulla
mistica non trovai ciò che in realt… cercavo,
e sempre pi— deluso e scoraggiato dovetti
riconoscere che soltanto l'uomo veramente
distaccato può comprendere ciò che s'inten-
de per 'distacco', e solo il contemplativo,
che si È sciolto completamente dal proprio
io, È pronto all'unione con il 'Dio sopradivi-
no'. Avevo dunque riconosciuto che non vi
È n‚ vi può essere altra via alla mistica se
non quella della propria esperienza e soffe-
renza e che senza tale premessa tutto quel
che se ne può dire non sono che parole
vuote.
Ma - come si diventa un mistico? Come si
raggiunge lo stato di distacco, quello reale,
non immaginario? Vi È ancora una via che
vi conduce, anche per colui che l'abisso dei
secoli separa dai grandi maestri? Per l'uomo
moderno, che cresce in tutt'altre condizio-
ni? Ma in nessun luogo trovai risposte che
mi appagassero almeno in parte, anche se si
parlava di gradi e di stazioni di una via che
prometteva di condurre alla meta. Ma per
percorrerla mancavano precise indicazioni
di metodo, che permettessero di sostituire il
maestro almeno per un certo tratto. Ma
ammesso che ci fossero, tali indicazioni sa-
rebbero sufficienti? O non preparano sol-
tanto, nel migliore dei casi, ad accogliere
ciò che nemmeno il miglior metodo ha da
offrire, cos che si può dire che l'esperienza
mistica non può essere forzata da nessuna
disposizione umana? Qualsiasi cosa facessi,
mi ritrovavo davanti a porte sbarrate, ep-
pure non potevo fare a meno ogni volta di
scuoterle. Ma la nostalgia restava, e quan-
do questa fu esausta, la nostalgia
nostalgia.
Quando un giorno - intanto ero
libero docente - mi fu proposto di
storia della filosofia all'Universit… imperiale
del Tohoku, accolsi con gioia la possibilit…
di conoscere il paese e il popolo giapponesi
gi… soltanto per la prospettiva di entrare in
rapporto col buddhismo e cos con la sua
mistica e la sua pratica di meditazione.
Infatti ne avevo sentito parlare tanto da
sapere che vi erano una tradizione gelosa-
mente custodita e una pratica viva dello
Zen, un'arte d'insegnare provata da secoli
e, cosa pi— importante di tutte, maestri Zen
con una prodigiosa esperienza nella guida
d'anime
Non appena mi fui un po' orientato nel
nuovo ambiente, cercai di realizzare il mio
desiderio. Subito mi scontrai in imbarazzati
tentativi di dissuadermi. Fino allora, mi
dissero, nessun europeo si era occupato se-
riamente dello Zen, e poich‚ esso rifiuta
anche la minima ombra di 'dottrina', non respinse
potevo aspettarmi che mi soddisfacesse un'altra
'teoricamente'. Ho dovuto perdere molte gnare a
ore per riuscire a far comprendere perch‚ io I Peseim:~
volessi dedicarmi proprio allo Zen non spe-
culativo. Mi avvisarono allora che un euro-
peo non aveva alcuna probabilit… di pene-
trare in quel campo, il pi— estraneo per lui,
dello spirito nipponico- a meno che comin-
ciasse coll'imparare una delle arti che han-
no rapporto con lo Zen.
L'idea di dover passare per una specie di
scuola preparatoria non mi scoraggiò. Ero
pronto a ogni concessione purch‚ mi sorri-
desse la speranza di avvicinarmi passo pas-
so allo Zen, e anche una faticosa via traver-
sa mi sembrava preferibile a una via chiusa.
A quale delle arti indicatemi a quello scopo
dedicarmi? Mia moglie si decise senza mol-
to esitare per l'arte di disporre i fiori e per la
pittura all'inchiostro di China, mentre io
ero pi— attirato dal tiro con l'arco, nella
supposizione che si dimostrò poi errata,
e la mia esperienza nel tiro con l'arco
e col fucile mi potesse essere utile.
Pregai uno dei miei colleghi, il professore di
legge Sozo Komachiya, che gi… per due de-
cenni aveva preso lezioni di tiro con l'arco e
a buon diritto era considerato il miglior
conoscitore di quest'arte all'Universit…, di
propormi come allievo al suo insegnante, il
celebre Maestro Kenzo Awa. Il Maestro
- dapprima la mia preghiera: gi…
volta si era lasciato indurre a inse-
uno straniero e la prova era stata
. Non si sentiva perciò disposto a
imporsi una seconda volta faticose conces-
sioni perch‚ lo spirito particolare di quel-
l'arte non disturbasse l'allievo. Soltanto
quando gli assicurai solennemente che un
maestro che prendeva tanto sul serio il suo
compito avrebbe potuto trattarmi come il
suo pi— giovane allievo, perch‚ volevo ap-
prendere quell'arte non per divertimento
ma per amore della 'Grande Dottrina', mi
accettò come allievo, insieme a mia moglie;
ch‚ da tempi antichissimi in Giappone È
uso che anche le donne imparino quell'arte,
in cui anche la moglie e le due figlie del
Maestro si esercitavano assiduamente.
E cos ebbe inizio quell'insegnamento serio
e severo, a cui, con nostra grande gioia, il
signor Komachiya, che s'era impegnato con
tanta ostinazione e s'era quasi reso garante
per noi, partecipava come interprete. Ebbi
inoltre l'opportunit… di assistere come udi-
tore alle lezioni di disposizione dei fiori e di
pittura che prendeva mia moglie, nella spe-
ranza che, confrontando e integrando le no-
stre esperienze, sarei riuscito ad ampliare le
basi della mia comprensione.
Che la via dell'arte senz'arte non sia facile,
ce ne rendemmo conto subito alla prima
lezione. Il Maestro ci mostrò anzitutto degli
archi giapponesi e ci spiegò come la loro
straordinaria capacit… di tensione fosse do-
vuta tanto alla loro particolare costruzione
quanto al materiale prevalentemente usato,
cioÈ il bamb—. Ma molto pi— importante
ancora gli sembrò richiamare la nostra at-
tenzione sulla nobilissima forma che l'arco,
lungo circa due metri, assume non appena,
tesa la corda, È pronto per l'uso, forma che
tanto pi— s'accentua quanto pi— si tende la
corda. Se l'arco È teso al massimo, allora
esso racchiude in s‚ il 'Tutto', aggiunse il
Maestro, ed ecco perch‚ È cos importan-
te imparare a tenderlo nel modo giusto.
Afferrò quindi il migliore e pi— forte dei suoi
archi e in atteggiamento molto solenne, tesa
leggermente la corda, la fece schioccare pi—
volte. Si produce COS un rumore, fatto al
tempo stesso di un colpo secco e di un ron-
zio profondo, e che non si dimentica pi—
quando lo si È udito anche solo poche volte;
tanto È singolare, tanto irresistibilmente af-
ferra il cuore. Sin dai tempi antichissimi gli
si attribuisce il misterioso potere di scongiu-
rare gli spiriti maligni; e capisco benissimo
come questa credenza sia radicata nel cuore
del popolo giapponese. Dopo questo signifi-
cativo atto preliminare di purificazione e di
consacrazione, il Maestro ci invitò a osser-
varlo attentamente. Incoccò una freccia, te-
se l'arco al punto che non credevo potesse
sostenere l'impegno di racchiudere in s‚ il
Tutto, e finalmente tirò. Tutto questo appa-
riva non solo bellissimo ma anche molto
agevole. Poi mi ordinò: Faccia altrettanto,
ma badi che il tiro con l'arco non È fatto per
rafforzare i muscoli. Per tirare la corda lei
non deve impiegare l'intera forza del suo
corpo, ma deve imparare a lasciare alle sue
mani di compiere tutto il lavoro, mentre i
muscoli delle braccia e delle spalle restano
rilassati e non sembrano partecipare all'a-
zione. Solo quando sar… capace di questo
soddisfer… a una delle condizioni per cui il
tendere l'arco e lo scoccare la freccia diven-
tano 'spirituali'. Dopo queste parole afferrò
le mie mani e fece loro percorrere lentamen-
te le varie fasi del movimento che da allora
in poi avrebbero dovuto compiere perche
mi ci abituassi fisicamente. Gi… al primo
tentativo con un arco da esercizi di media
potenza, mi accorsi che per tenderlo dovevo
impiegare forza, e una forza considerevole.
A ciò si aggiunga che l'arco giapponese non
viene tenuto all'altezza delle spalle come
quello europeo da sport, cos che ci si può
per cos dire spingere dentro. Invece, non
appena si È incoccata la freccia, esso viene
alzato con le braccia quasi distese, in modo
che le mani del tiratore si trovano al di
sopra della sua testa. Cos non resta altro
che tirarle uniformemente in direzioni op-
poste, a destra e a sinistra, e quanto pi— esse
si allontanano l'una dall'altra, tanto pi— si
abbassano, descrivendo curve, fino a che la
mano sinistra, che tiene l'arco, si trova a
braccio teso all'altezza degli occhi, e la ma-
no destra, che tiene la corda col braccio
piegato, si trova sopra l'articolazione della
spalla, in modo che la freccia, lunga quasi
un metro, sporge solo di un poco oltre il
margine esterno dell'arco - tanto grande È
la sua apertura. In tale posizione l'arciere
deve restare per un certo tempo prima di far
partire la freccia. Per il dispendio di forza
richiesto da questo modo inconsueto di ten-
dere e di impugnare l'arco, dopo pochi mo-
menti le mie mani incominciavano a trema-
re e il respiro si faceva sempre pi— grosso.
Questo non cambiò neppure nel corso delle
una faccenda difficile e l'esercizio non riu-
sciva a diventare 'spirituale'. Per consolar-
mi mi immaginai che ci dovesse essere un
accorgimento che il Maestro per qualche
ragione non voleva svelare, e mi feci un
punto d'onore di scoprirlo.
Ostinato nel mio proposito continuai a eser-
citarmi. Il Maestro seguiva attentamente i
miei sforzi, correggeva con calma la mia
posizione forzata, lodava il mio zelo, biasi-
-mava il mio dispendio di forza, ma mi la-
sciava fare. Mi toccava però continuamente
nel mio punto debole gridandomi in tede-
sco, mentre tendevo l'arco, la parola 'rilas-
sato', che intanto aveva imparato- senza
perdere mai n‚ la pazienza n‚ la cortesia.
Ma venne un giorno in cui fui io che persi la
pazienza e, facendomi forza, confessai che
non ero capace di tendere l'arco nel modo
prescritto.
®Lei non ci riesce¯ mi spiegò il Maestro
®perch‚ non respira bene. Dopo l'inspira-
zione spinga lentamente in gi— il fiato in
modo che la parete addominale si tenda
moderatamente, e ve lo trattenga per un
poco. Poi espiri il pi— lentamente e regolar-
mente possibile, e dopo una breve pausa
riprenda rapidamente fiato - e cos via in
un alternarsi di espirazione e di inspirazio-
ne con un ritmo che a poco a poco si stabi-
lira da se. Se l'eseguir… nel modo giusto,
sentir… che il tiro con l'arco le diventera
ogni giorno pi— facile. Con questa respira-
zione infatti lei non solo scoprir… l'origine di
ogni forza spirituale, ma otterr… che quella
sorgente scorra sempre pi— abbondante e si
diffonda attraverso le sue membra tanto pi—
facilmente quanto pi— lei sar… rilassato ¯. E,
come per provarmelo, tese il suo forte arco e
mi invitò a mettermi dietro di lui e a tastare
i muscoli delle sue braccia. E infatti erano
cos distesi come se non dovessero compiere
alcun lavoro.
Ci esercitammo nella nuova respirazione,
dapprima senz'arco n‚ freccia, fino a che
non ci fu diventata abituale. Il leggero stor-
dimento che si prova all'inizio fu presto
superato. Alla espirazione il pi— possibile
lenta e insieme continua e regolare, e che
quindi gradatamente si estingue, il Maestro
attribuiva cos grande importanza che per
esercizio e controllo la faceva accompagna-
re da un leggero sussurro. E soltanto quan-
do con l'ultimo residuo d'aria s'era spento
anche il suono si poteva riprendere fiato.
L'inspirazione, disse una volta il Maestro,
lega e collega, mentre si trattiene il respiro
avviene tutto ciò che È giusto, e l'espirazio-
ne scioglie e porta a compimento, superan-
do ogni limitazione. Ma questo allora non
lo potevamo capire.
Subito dopo il Maestro passò a mettere la
respirazione, che non si pratica per se stes-
sa, in rapporto col tiro con l'arco il proces-
so unitario del tendere e del tirare fu scom-
posto in pi— parti: afferrare l'arco--incocca-
re la freccia - sollevare l'arco - tenderlo e
restare nella massima tensione--tirare. Cia-
scuna di esse veniva avviata con l'inspira-
zione, sostenuta con la ritenzione del fiato e
terminata con l'espirazione. Avveniva allo-
ra che la respirazione s'inseriva natural-
mente nel processo e non solo accentuava
notevolmente le singole posizioni e i singoli
atti, ma anche li intrecciava gli uni agli altri
in un concatenamento ritmico- a seconda
della capacit… di respirazione di ciascuno
Nonostante tale scomposizione in parti, ii
processo appariva come un accadimento
che vive tutto di s‚ e in s‚ e che non si può
in nessun modo paragonare a un esercizio
ginnico, al quale si possono aggiungere o
togliere delle parti senza perciò distrugger-
ne il senso e il carattere.
Non posso ripensare a quei giorni senza
ricordarmi quanto all'inizio mi fu difficile
lasciare che la respirazione avesse il suo
corso e il suo effetto. Respiravo s in modo
tecnicamente corretto, ma quando nel ten-
dere l'arco stavo attento a tener rilassati i
muscoli delle braccia e delle spalle, mi si
irrigidivano involontariamente quelli delle
gambe, come se avessi bisogno di un punto
d'appoggio solido e sicuro e, simile a Anteo,
dovessi suggere tutta la forza dal suolo. Al
Maestro spesso non restava altro cne mter-
venire con la rapidit… di un lampo e preme-
re dolorosamente l'uno o l'altro muscolo
della gamba in un punto particolarmente
sensibile. Un giorno che, per scusarmi, gli
facevo osservare che io mi sforzavo coscien-
ziosamente di restare rilassato, egli replicò:
®Ô appunto perch‚ lei si sforza, perch‚ ci
pensa. Si concentri esclusivamente sulla re-
spirazione, come se non avesse altro da
fare ¯. Ci volle tuttavia parecchio tempo an-
cora prima che riuscissi a eseguire ciò che il
Maestro esigeva. Ma ci riuscii. Imparai a
perdermi nella respirazione con tanto ab-
bandono che talvolta avevo la sensazione di
non essere io a respirare ma--per quanto
possa suonare strano - di essere respirato. E
anche se poi in momenti di consapevolezza
e di riflessione mi ribellavo a questa idea
stravagante, non potei pi— dubitare che la
respirazione mantenesse ciò che il Maestro
aveva promesso. Di quando in quando, e
col passare del tempo sempre pi— spesso,
riuscivo a tendere l'arco e a mantenerlo teso
sino alla fine con il corpo perfettamente
rilassato, senza saper dire come ciò avvenis-
se. La differenza qualitativa tra i po-
chi tentativi riusciti e i molti ~ ancora
fallivano era cos evidente che fui_p ad
ammettere che finalmente compivo ciò
che significasse tendere 'spiritualmente'
l'arco.
( Questo era dunque il segreto: non un accor-
gimento tecnico che invano avevo cercato di
scoprire, ma una respirazione che liberava e
apriva nuove possibilit…. Non parlo alla leg-
gera. So bene come si È tentati, in casi simi-
li, di cedere a una influenza potente e, pri-
gionieri della propria illusione, sopravalu-
tare la portata di un'esperienza soltanto
perch‚ È cos insolita. Ma, a dispetto di ogni
rifiuto mentale e di ogni prudente riserva, il
successo ottenuto con la nuova respirazione
- col tempo riuscii a tendere senza contrar-
mi persino il forte arco del Maestro - parla-
va un linguaggio anche troppo chiaro.
Un giorno, in un esauriente colloquio con il
signor Komachiya, gli chiesi perch‚ il Mae-
stro si fosse limitato per tanto tempo a osser-
vare i miei vani sforzi per tendere l'arco
'spiritualmente'; perch‚ insomma non aves-
se fin dal principio insistito sulla giusta re-
spirazione.
® Un grande maestro ¯ rispose ® deve essere
allo stesso tempo anche un grande educato-
re, da noi l'una cosa non va senza l'altra. Se
avesse iniziato l'insegnamento con esercizi
di respirazione, non avrebbe mai potuto
convincerla che lei deve a essi qualcosa di
decisivo. I suoi tentativi dovevano prima
naufragare perch‚ lei fosse pronto ad affer-
rare il salvagente che lui le offriva. Mi cre-
da, lo so per mia propria esperienza, il
Maestro conosce lei e ciascuno dei suoi al-
lievi meglio di quanto noi conosciamo nol
stessi. Egli legge nelle anime dei suoi allievi
pi— di quanto essi vorrebbero ammettere ¯.
Riuscire dopo un anno a tendere l'arco 'spi-
ritualmente', cioÈ con potenza eppure senza
fatica, non È certo un risultato sconvolgen-
te. Eppure me ne accontentai: cominciavo
infatti a comprendere perch‚ si chiami 'arte
mite' quel modo di autodifesa elevata a si-
stema che abbatte l'avversario col cedere
inaspettatamente, elasticamente e senza di-
spendio di forze al suo attacco impetuoso,
ottenendo cos che la sua forza si rivolga
contro lui stesso. Da tempi immemorabili
essa ha per archetipo l'acqua, che sempre
cede e mai recede, cos che Lao-tzu può dire
saggiamente che l„giusta_ via È simile all'ac-
qua, che adeguandosi a t£tto, a t£tfo È
adatta. A ciò si aggiunga che nella scuola
circolava un detto del Maestro: chi se la
prende facile all'inizio se la trover… pi— difi-
cile poi. Per me l'inizio era stato molto diffi-
cile. Non potevo dunque guardare con fidu-
cia a ciò che avevo davanti e di cui oscura-
mente intuivo la difficolt…?
Poi fu la volta del tiro. Fino allora poteva-
mo farlo alla ventura. Era una cosa al mar-
gine degli esercizi, per cos dire tra parente-
si. E che cosa avvenisse della freccia era
ancora pi— indifferente. Bastava che pene-
trasse nel disco di paglia compressa, che
teneva luogo di bersaglio e di paracolpi in-
sieme, non si chiedeva altro. Colpirlo non
era un'impresa perch‚ ci sta di fronte a una
distanza di tutt'al pi— due metri.
Fino allora m'ero dunque limitato a lasciar
andare la corda quando mi era diventato
impossibile rimanere pi— a lungo nella mas-
sima tensione, quando sentivo che dovevo
cedere se non volevo che le mani tese in
direzioni opposte si riavvicinassero. Con
tutto ciò, la tensione non È dolorosa. Un
guanto col pollice rinforzato e bene imbotti-
to evita che a lungo andare la pressione
della corda diventi molesta e perciò non
abbrevi prima del tempo la durata della
massima tensione. Quando si tende l'arco,
si pone il pollice intorno alla corda, al di
sotto della freccia, e lo si ripiega, poi gli si
sovrappongono l'indice, il medio e l'anula-
re, che lo serrano strettamente, dando allo
stesso tempo un sicuro sostegno alla freccia.
Scoccare la freccia significa aprire le dita
che circondano il pollice, lasciandolo libero.
La forte trazione della corda lo strappa alla
sua posizione, lo stende, la corda vibra, la
freccia scocca. Fino allora, quando tiravo,
questo non avvemva mal senza una lorte
scossa, che si comunicava sensibilmente e
visibilmente a tutto il corpo e si trasmette-
va anche all'arco e alla freccia. Ô naturale
che in questo modo non ne risultasse un
colpo liscio e soprattutto sicuro. Necessa-
riamente veniva smosso e deviato.
® Tutto ciò che lei ha imparato finora ¯
osservò un giorno il Maestro, quando non
ebbe pi— nulla da ridire sul modo con cui
tendevo l'arco restando rilassato ® È sta-
to solo preparazione al tiro. Ci trovia-
mo quindi davanti a un compito nuovo e
particolarmente difficile, e allo stesso tem-
po a un nuovo gradino dell'arte del tiro
con l'arco¯. Dette queste parole, afferrò il
suo arco, lo tese e tirò. E per la prima
volta, messo sull'avviso, notai che la mano
destra del Maestro, improvvisamente aper-
ta e liberata dalla tensione, scattava s
all'indietro, ma senza provocare la minima
scossa del corpo. Il braccio destro, che
prima del colpo formava un angolo acuto,
si apriva, È vero, di scatto, ma si distende-
va poi dolcemente. L'inevitabile scossa
veniva dunque sostenuta e controbilancia-
ta elasticamente.
Se la potenza del colpo non si tradisse
nello schiocco della corda e nella forza di
penetrazione della freccia, il processo stes-
so del tiro non la rivelerebbe mai. Nel
Maestro almeno l'atto dello scoccare la
reccla apparlva sempllce e senza pretese
come fosse un gioco.
L agevolezza con cui si esegue un atto di
forza È senza dubbio uno spettacolo alla cui
bellezza l'uomo dell'Estremo Oriente È par-
ticolarmente sensibile e grato. A me invece
pareva -- n‚ al livello a cui ero arrivato
poteva essere altrimenti--pi— importante il
fatto che dall'agevolezza del tiro dipendesse
l'esattezza del colpo. Dall'esperienza che
avevo del tiro col fucile sapevo le conse-
guenze del pi— piccolo movimento che fac-
cia deviare anche minimamente dalla linea
di mira. Tutto ciò che avevo imparato e
raggiunto lo comprendevo soltanto da que-
sto punto di vista: tendere l'arco, restare
nella massima tensione, scoccare il colpo,
sostenere la scossa all'indietro, e sempre
con animo e corpo disteso- tutto questo
non era forse al servizio della precisione del
tiro e di conseguenza dello scopo per cui
s'impara con tanta fatica e pazienza il tiro
con l'arco? Perch‚ allora il Maestro ne ave-
va parlato come se si trattasse di un proce-
dimento che superava di molto tutto ciò in
cui ci eravamo esercitati e che ci era noto?
Comunque mi esercitavo con zelo e diligen-
za secondo le istruzioni del Maestro. Eppu-
re ogni sforzo era vano. Spesso mi sembrava
di aver tirato meglio prima, quando ancora
senza prevenzioni facevo partire il colpo al-
la cieca. Anzitutto osservai che non mi riu-
sciva di aprire senza sforzo la mano destra
a cominciare dalle dita premute sopra il
pollice. Questo provocava una scossa nel
momento in cui tiravo e facevo deviare il
colpo. E ancora meno ero capace di sostene-
re elasticamente la scossa della mano im-
provvisamente libera. Il Maestro continua-
va a mostrarmi il giusto modo di tirare,
senza scomporsi; senza stancarmi io cerca-
vo d'imitarlo - col solo risultato di diventa-
re ancora pi— malsicuro. Mi sembrava di
procedere come il millepiedi che non fu pi—
capace di camminare dopo che si fu lambic-
cato il cervello per stabilire in quale ordine
muoveva i piedi.
Il Maestro era meno spaventato di me del
mio insuccesso. Sapeva per esperienza che
si doveva passare da quel punto? ® Non
pensi a quello che deve fare, non rifletta
sull'esecuzione! ¯ mi gridava. ® Il colpo fila
liscio solo se sorprende il tiratore stesso.
Deve essere come se la corda tagliasse im-
provvisamente il pollice che la trattiene. Lei
non deve dunque aprire la mano destra con
intenzione! ¯.
Seguirono settimane e mesi di infruttuoso
esercizio. Dal modo in cui tirava il Maestro
potevo ogni volta trarre il modello, scorgere
la natura del tiro giusto. Ma non me ne
riusciva uno. Se io, in vana attesa del colpo,
cedevo alla tensione perch‚ incominciava a
farsi insopportabile, le mie mani si avvici-
navano lentamente l'una all'altra e il COlpO
non partiva. Se resistevo ostinatamente fino
a perdere il fiato, ero obbligato a chiamare
in aiuto i muscoli delle braccia e delle spal-
le. Restavo, È vero, immobile - come una
statua, diceva ironicamente il Maestro - ma
contratto, e il rilassamento era scomparso.
Fosse caso, fosse voluto dal Maestro, avven-
ne che un giorno ci trovammo insieme a
prendere una tazza di tÈ. Io afferrai al volo
la felice occasione per parlargli liberamente
e gli aprii il mio cuore.
® Capisco bene ¯ dissi ® che non si deve
aprire la mano bruscamente, se non si vuole
guastare il colpo. Ma in qualunque modo io
faccia, sbaglio sempre. Se stringo la mano il
pi— possibile, quando l'apro la scossa È ine-
vitabile. Se invece cerco di tenerla rilassata,
la corda sfugge ancora prima di aver rag-
giunto l'intera apertura dell'arco, involon-
tariamente, È vero, ma troppo presto. Tra
queste due maniere di sbagliare io mi dibat-
to e non trovo via d'uscita¯.
®Lei deve¯ rispose il Maestro ®tenere la
corda tesa come un bambino piccolo tiene il
dito che gli si porge. Lo tiene cos stretto
che non finiamo di meravigliarci della forza
di quel minuscolo pugno. E quando abban-
dona il dito lo fa senza la minima scossa. Sa
perch‚? Perch‚ il bambino non pensa -
mettiamo: ora lascio il dito per afferrare
quest'altra cosa. Ma, senza riflettere e sen-
za intenzione, passa da una cosa all'altra e
si potrebbe dire che egli gioca con le cose se
non fosse altrettanto giusto dire che le cose
giocano con lui¯.
® Forse capisco a cosa lei allude con questo
paragone¯ osservai. ® Ma non mi trovo in
tutt'altra situazione? Quando ho teso l'arco
viene il momento in cui sento che, se il
colpo non parte subito, non posso pi— soste-
nere la tensione. E che cosa accade allora
improvvisamente? Semplicemente questo:
mi manca il respiro. E cos devo far partire
il colpo io stesso, come che vada, perch‚
non posso pi— aspettare che parta¯.
®Lei ha descritto anche troppo bene¯ ri-
spose il Maestro ®dove sta per lei la diffi-
colt…. Sa perch‚ non può attendere che il
colpo parta e perch‚ il fiato le viene a man-
care prima che il colpo sia partito? Il tiro
giusto nel momento giusto non viene perch‚
lei non si stacca da se stesso. Lei non È teso
verso il compimento, ma attende il proprio
fallimento. Finch‚ le cose stanno cos non le
resta altra scelta che provocare lei stesso un
accadimento che È indipendente da lei, e
fintanto che lei lo provoca, la mano non si
apre nella maniera giusta--come la mano
di un bimbo; non scoppia come il guscio di
un frutto maturo¯.
Dovetti confessare al Maestro che questa
spiegazione accresceva la mia confusione.
®Ma infine¯ feci osservare ®tendo l'arco
e tiro la freccia per colpire il bersaglio
Tendere È dunque un mezzo per uno
scopo. Una relazione che non posso perde-
re di vista. Il bambino non la conosce
ancora, ma io non posso pi— ignorarla¯.
®La vera arte¯ esclamò allora il Maestro
®È senza scopo, senza intenzione! Quanto
pi— lei si ostiner… a voler imparare a far
partire la freccia per colpire sicuramente il
bersaglio, tanto meno le riuscir… l'una
cosa, tanto pi— si allontaner… l'altra. Le È
d'ostacolo una volont… troppo volitiva. Lei
pensa che ciò che non fa non avvenga¯.
®Ma lei non ha spesso ripetuto¯ obiettai
® che il tiro con l'arco non È un passatem-
po, un giOCo senza scopo, ma una questio-
ne di vita e di morte?¯.
®E lo sostengo. Noi maestri d'arco dicia-
mo: un colpo- una vita! Ciò che questo
significa lei non lo può ancora capire, ma
forse l'aiuter… un'altra immagine che tra-
duce la stessa esperienza. Noi maestri
d'arco diciamo: con l'estremit… superiore
dell'arco l'arciere fora il cielo, all'estremit…
inferiore È appesa la terra, fissata con un
filo di seta. Se il colpo parte con una forte
scossa c'È il pericolo che il filo si spezzi.
Per il volitivo e il violento la frattura
diventa allora definitiva e l'uomo resta
irrimediabilmente nello spazio intermedio
tra il cielo e la terra¯.
®Imparare la giusta attesa¯.
®E come si impara?¯.
® Staccandosi da se stesso, lasciandosi die-
tro tanto decisamente se stesso e tutto ciò
che È suo, che di lei non rimanga altro che
una tensione senza intenzione¯.
® Devo dunque spogliarmi intenzionalmen-
te di ogni intenzione¯ mi scappò detto.
® Questo non me l'ha chiesto ancora nessun
allievo e perciò non so la risposta giusta ¯.
® E quando cominciamo questi nuovi
esercizi? ¯.
®Aspetti che sia l'ora!¯.
Si capir… facilmente come questo colloquio
- il primo esauriente dall'inizio dell'inse-
gnamento - mi lasciasse estremamente tur-
bato. Finalmente si toccava il tema per il
quale mi ero proposto d'imparare il tiro con
l'arco. Quella liberazione da se stessi di cui
aveva parlato il Maestro, non si trovava
sulla via che conduce al vuoto, al distacco?
Non ero dunque giunto a quel punto in cui
cominciava a farsi sentire l'influsso dello
relazione la capacit… di attendere senzain-
tenzione stesse con lo scoccare del colpo al
momento giusto, quando la tensione ha rag-
giunto il suo limite, questo non ero ancora
in grado di spiegarlo. Ma perch‚ anticipare
nel pensiero ciò che solo l'esperienza può
insegnare? Non era finalmente tempo di ab-
bandonare questa tendenza infruttuosa?
Quante volte avevo segretamente invidiato
i numerosi allievi del Maestro che si lascia-
vano prendere la mano e guidare da lui
come bambini! Che felicit… deve essere po-
terlo fare senza riserve. Tale atteggiamento
non conduce necessariamente a indifferen-
za e impotenza spirituale. Ai bambini non
È per lo meno permesso di fare molte do-
mande?
Nella lezione seguente il Maestro- con mia
delusione - continuò gli esercizi abituali:
tendere l'arco, restare nella massima tensio-
ne, far partire il colpo. Ma tutti i suoi buoni
consigli non valsero a nulla. Cercavo s,
secondo le sue istruzioni, di non cedere alla
tensione, ma di tendermi di l… da essa, come
se per la natura intrinseca dell'arco non le
fossero posti limiti; mi sforzavo di aspettare
fino a che la tensione si compisse e allo
stesso tempo si sciogliesse nel colpo, eppure
ogni colpo falliva: desiderato, provocato,
deviato. Solo quando si arrivò al punto che
il proseguimento di tali esercizi minacciò
non solo di diventare infruttuoso ma anche
addirittura pericoloso, perch‚ sempre pi—
pregiudicati dall'assillo dell'insuccesso, il
Maestro li interruppe per iniziarne una se-
rie tutta nuova.
® D'ora in poi, quando verrete a lezione ¯ ci
disse ® dovrete raccogliervi gi… strada facen-
do. Concentratevi su ciò che avviene qui
nella sala degli esercizi! Passate accanto a
tutto senza badarvi, come se al mondo ci
fosse una sola cosa importante e reale: il tiro
con l'arco¯.
Anche la via al distacco da se stessi il Mae-
stro la suddivise in singole parti, e ciascuna
andava esercitata accuratamente. E anche
qui egli si limitò a brevi indicazioni. Che
per seguire questi esercizi basta che colui
che li compie comprenda, anzi a tratti an-
che soltanto intuisca, ciò che si richiede da
lui. Non È perciò necessario afferrare e defi-
nire concettualmente le tradizionali distin-
zioni simboliche. E chi può escludere che
queste, nate da prassi secolare, non vedano,
sotto certi aspetti, pi— lontano di ogni cono-
scenza consapevole e ponderata? Il primo
passo su questa via È gi… stato compiuto.
Ha portato al rilassamento fisico, senza il
quale non È possibile tendere correttamente
l'arco. Per far partire correttamente il colpo
il rilassamento fisico deve ora trapassare in
distensione psichico-spirituale, al fine di
rendere lo spirito non solo mobile, ma libe-
ro: mobile per giungere alla libert…, libero
per raggiungere la mobilit… originaria; e ta-
le mobilit… originaria È essenzialmente di-
versa da tutto ciò che comunemente s'inten-
de per mobilit… dello spirito. Cos tra le due
condizioni, l'una di rilassamento fisico, l'al-
tra di libert… spirituale, c'È una diversit… di
livello che non si può pi— superare con la
sola respirazione, ma con un ritrarsi da tutti
i legami, quali essi siano, con un radicale
abbandono dell'Io: cos che l'anima, im-
mersa in se stessa, si trovi nella piena po-
tenza della sua ineffabile origine.
-All'esigenza di chiudere anzitutto le porte
dei sensi non si soddisfa distogliendosi ener-
gicamente da essi, ma piuttosto con la di-
sposizione a cedere senza opporre resisten-
za. Ma perch‚ questo atteggiamento di ina-
zione riesca istintivamente l'anima ha biso-
gno di un sostegno interno e lo acquista
concentrandosi sulla respirazione. Questa
viene eseguita in piena consapevolezza, co-
scienziosamente, anzi addirittura con pe-
danteria. Tanto l'inspirazione che l'espira-
zione vengono esercitate separatamente e
con cura. Il felice esito di questo esercizio
non si fa aspettare a lungo. Quanto pi—
intensamente l'attenzione si concentra sulla
respirazione, tanto pi— si smorzano gli sti-
moli esterni. Essi affondano in un mormorio
indistinto, che si ascolta dapprima distrat-
tamente e alla fine non disturba pi—, come
non si senie quasi pi— il rumore del mare
quando se n'È fatta l'abitudine. Col tempo
si diventa insensibili anche a stimoli consi-
derevoli e ci si sottrae sempre pi— facilmen-
te e rapidamente alla loro soggezione. Si
deve soltanto badare a che il corpo, in piedi,
seduto o coricato, sia il pi— rilassato possibi-
le, e se allora ci si concentra sul respiro, ci si
trova ben presto isolati come da cortine
impenetrabili.
Si sa e si sente soltanto che si respira. Per
liberarsi da questa sensazione e da questa
consapevolezza non occorre nessun nuovo
atto di volont…; la respirazione si rallenta da
s‚, ha sempre meno bisogno di fiato, e infi-
ne, fattasi uniforme e smorzandosi per tra-
passi inavvertibili, si sottrae interamente al-
l'attenzione.
Questo felice stato di inconturbabile racco-
glimento da principio non dura purtroppo a
lungo. Minaccia di essere distrutto dall'in-
terno Come sorgenti dal nulla affiorano im-
provvisamente stati d'animo, sentimenti,
desideri, preoccupazioni e persino pensieri
in una mescolanza assurda, e quanto pi—
lontani e singolari sono e quanto meno han-
no a che fare con l'oggetto della nostra con-
sapevolezza, tanto pi— ostinatamente Si ag-
grappano. Si direbbe che vogliano vendi-
carsi del fatto che la concentrazione tocca
zone che solitamente essi non raggiungono.
Ma anche qui si riesce a difendersi da tale
intrusione se, continuando a respirare tran-
quillamente, si accoglie con serelnit… ciò che
si presenta, ci si abitua ad assistervi da
semplici spettatori, sino a che si È finalmen-
te stanchi dello spettacolo. Cos si giunge
gradatamente a uno stato d'abbandono che
somiglia a quel dormiveglia che precede il
sonno.
Scivolarvi definitivamente È il pericolo che
bisogna evitare. Lo si affronta con un parti-
colare scatto della concentrazione, parago-
nabile al riscuotersi di uno che, sfinito da
una notte di veglia, sa che dalla vigilanza di
tutti i suoi sensi dipende la sua vita; e se tale
scatto È riuscito anche una volta sola, si
riuscir… sicuramente a ripeterlo. Per esso
l'anima, come da sola, si ritrova quasi a
librare entro se stessa, una condizione che,
capace di crescere d'intensit…, si solleva ad-
dirittura a quel senso d'incredibile leggerez-
za, sperimentato solo in rari sogni, e di
felice certezza di poter destare energie rivol-
te in ogni direzione e di saperle accrescere o
sciogliere a ogni livello.
Questo stato, in cui non si pensa, non ci si
propone, non si persegue, non si desidera n‚
si attende pi— nulla di definito, che non
tende verso nessuna particolare direzione
ma che per la sua forza indivisa sa di essere
capace del possibile come dell'impossibile-
questo stato interamente libero da intenzio-
ni, dall'Io, il Maestro lo chiama propria-
mente << spirituale >>. infatti saturo di vi-
gilanza spirituale e perciò viene anche chia-
mato ® vera presenza dello spirito ¯. Con
questo s'intende che lo spirito È presente
dappertutto perch‚ non si apprende a nes-
sun luogo particolare. E può restare presen-
te perch‚ anche quando si rivolge a questo o
a quello non vi si attaccher… con la riflessio-
ne e non perder… cos la sua originaria mo-
bilit…. Simile all'acqua che riempie uno sta-
gno ma È sempre pronta a defluirne, lo spi-
rito può ogni volta agire con la sua inesauri-
bile forza, perch‚ È libero, e aprirsi a tutto
perch‚ È vuoto. Tale condizione È veramen-
te una condizione originaria e il suo emble-
ma, un cerchio vuoto, non È muto per colui
che vi sta dentro.
Ô perciò con questa presenza e piena po-
tenza del suo spirito non turbato da inten-
zioni, e fossero le pi— nascoste, che l'uomo
che si È svincolato da tutti i legami deve
esercitare qualsiasi arte. Ma perch‚ egli, in
perfetto oblio di se stesso, possa inserirsi nel
processo formale bisogna che sia avviata la
pratica dell'arte. Perch‚ se colui che È im-
merso in se stesso si trovasse di fronte a una
situazione in cui non può introdursi istinti-
vamente, sarebbe costretto a prenderne pri-
ma coscienza. Egli rientrerebbe cos di nuo-
vo in tutti quei rapporti di cui si era libera-
to; somiglierebbe a uno che si sveglia e pen-
sa al programma della giornata, non a un
'risvegliato', che vive nello stato originario.
di l opera. E non avrebbe mai la sensazione
che le singole fasi del processo operativo gli
vengano incontro da sole quasi per inter-
vento superiore; non saprebbe mai come
l onda travolgente di un accadimento si tra-
smetta a colui che non È pi— che una vibra-
z ione, e come tutto ciò che fa È fatto prima
ancora che lui lo sappia. Perciò il distacco e
la liberazione dall'Io, l'interiorizzazione e
la condensazione della vita necessari a una
totale presenza dello spirito non vengono-
e tanto meno quanto pi— dipende da essa -
lasciati a felici disposizioni naturali o addi-
rittura al caso, e neppure affidati alla cieca
a quel processo formale che richiede tutte le
forze, e in tal modo alla fiducia che la con-
centrazione necessaria si produca da s‚.
Prima di agire e operare, prima di abban-
donarsi e immedesimarsi, quella presenza
dello spirito viene invece provocata e assi-
curata con l'esercizio. Ma a partire dal mo-
mento in cui si riesce non solo ad acquistar-
la sporadicamente, ma a raggiungerla in
pochi istanti, la concentrazione, come pri-
ma la respirazione, viene collegata col tiro
con l'arco. Al processo della tensione del-
l arco e del tiro ci si introduce con una
successione scorrevole e ritmica di atti: l'ar-
ciere che in ginocchio, in disparte, ha co-
minciato a concentrarsi, si porta a passi
solenni davanti al bersaglio, dopo essersi
inchinato protnndamente presenta arco e
freccia come un'offerta sacra, poi incocca la
freccia, solleva l'arco e, in estrema vigilanza
dello spirito, resta fermo in attesa. Dopo il
fulmineo scattare della freccia e il simulta-
neo sciogliersi della tensione, l'arciere resta
immobile nella posizione che viene a pren-
dere dopo aver tirato, fino a che, dopo una
lunga espirazione, deve riprendere fiato.
Soltanto allora lascia cadere le braccia, s'in-
china davanti al bersaglio e, se non ha da
tirare altri colpi, si ritira composto in fondo
alla sala.
In questo modo il tiro con l'arco si È trasfor-
mato in una cerimonia che interpreta la
'Grande Dottrina'.
Anche se in questo stadio l'allievo non affer-
ra ancora la portata spirituale dei suoi colpi,
comprende però definitivamente perch‚ il
tiro con l'arco non può essere uno sport, un
esercizio ginnico. Comprende perch‚ ciò che
si può apprendere tecnicamente deve essere
esercitato coscienziosamente e fino alla sa-
ziet…. Se tutto dipende dal sapersi inserire
nell'accadimento col perfetto abbandono di
s‚ e di ogni intenzione, il compimento ester-
no dovr… prodursi come da solo, senza che la
riflessione lo guidi e lo controlli.
educa infatti la scuola giapponese Eserci-
zio, ripetizione e ripetizione del ripetuto so-
no, in progresso crescente e per lunghi trat-
ti, le sue caratteristiche. Questo vale alme-
no per tutte le arti legate alla tradizione.
Dare l'esempio, dare il modello; immedesi-
marsi, imitare - questa È la relazione fonda-
mentale dell'insegnamento, anche se nelle
ultime generazioni, con l'introduzione di
nuove materie di studio, abbiano preso pie-
de anche metodi d'insegnamento europei e
vengano usati con innegabile intelligenza
Come si spiega il fatto che, malgrado l'ini
ziale entusiasmo per la novit…, le arti giap-
ponesi siano rimaste sostanzialmente im-
muni da queste nuove forme d'insegna-
mento?
Non È facile dare una risposta a tale doman-
da. Eppure tenterò di farlo, e sia pure in
modo sommario, per chiarire maggiormen-
te lo stile dell'insegnamento giapponese e
c on esso il significato dell'imitazione.
L'allievo giapponese porta con s‚ tre cose:
buona educazione, appassionato amore per
l'arte da lui scelta e venerazione incondizio-
nata del maestro. Fin dai tempi pi— antichi
il rapporto maestro-allievo fa parte dei lega-
;mi fondamentali della vita e investe perciò
il maestro di una grande responsabilit…, che
va molto al di l… dei limiti della sua materia.
All'inizio allo scolaro non si richiede che
una coscienziosa imitazione di ciò che il
maestro esegue davanti a lui. Alieno da lun-
ghe istruzioni e spiegazioni, questi si limita
a brevi cenni e non si aspetta che l'allievo
ponga domande. Egli assiste tranquilla-
mente agli incerti tentativi senza ripromet-
tersi autonomia e iniziativa, e ha la pazien-
za di attendere la crescita e la maturazione.
L'uno e l'altro non hanno fretta, il maestro
non spinge e l'allievo non corre.
Ben lontano dal voler destare anzitempo
nell'allievo l'artista, il maestro ritiene suo
primo compito di fare di lui un esperto, che
ha assoluta padronanza del mestiere. A
questo intento l'allievo viene incontro con
instancabile diligenza. Come se non avesse
pretese pi— elevate, egli si lascia imporre la
soma con cieca sottomissione, e solo nel
corso degli anni l'esperienza gli prover… che
le forme di cui È perfettamente padrone non
lo opprimono pi—, ma lo liberano. Di giorno
in giorno gli diventa sempre pi— facile se-
guire tecnicamente tutte le ispirazioni, ma
anche lasciarsi ispirare dall'osservazione
pi— scrupolosa. La mano che regge il pen-
nello, nel momento stesso in cui lo spirito
comincia a dare forma, ha gi… colto e com-
piuto ciò che esso intravede, e alla fine l'al-
lievo non sa a quale dei due, lo spirito o la
mano, È dovuta l'opera.
Ma per arrivare al punto in cui l'abilit…
tecnica diventa 'spirituale', È necessaria, co-
trazione di tutte le forze fisiche e psichiche,
della quale, come mostreranno altri esempi,
non si può fare a meno in nessun caso.
Un pittore all'inchiostro di China prende
posto davanti agli allievi. Esamina i pennelli
e li dispone lentamente per l'uso, macina
accuratamente il colore, raddrizza la lunga e
sottile striscia di carta che sta davanti a lui
sulla stuoia, e finalmente, dopo essersi trat-
tenuto un certo tempo in profonda concen-
trazione, in cui sembra irraggiungibile, con
pennellate rapide e sicure traccia un'imma-
gine che non richiede n‚ tollera correzioni e
che serve di modello agli allievi.
Un maestro dei fiori comincia la lezione
sciogliendo con precauzione il legaccio che
stringe i fiori e i rami fioriti, e dopo averlo
arrotolato con cura, lo mette da parte. Con-
sidera quindi i singoli rami, dopo ripetuto
esame ne sceglie i migliori, d… a essi, pie-
gandoli delicatamente, la forma che devono
assumere secondo la loro funzione e final-
mente li dispone in un vaso appositamente
scelto. La composizione, al suo termine, ap-
pare come se il maestro avesse indovina-
to ciò che la natura sogna nei suoi sogni
oscuri.
In questi due casi, a cui vorrei limitarmi, i
maestri Si comportano come se fossero soli.
Agli allievi non concedono neppure uno
sguardo, tanto meno una parola. Compiono
i preparativi calmi e assorti, si perdono,
dimentichi di s‚, nel processo creativo delle
figure e delle forme, e ad ambedue esso
appare, dalle operazioni preliminari all'o-
pera compiuta, un accadimento in s‚ con-
chiuso. Ed esso È in realt… dotato di una tale
potenza espressiva da agire sullo spettatore
come un quadro.
Ma perch‚ il maestro non fa eseguire da
qualche allievo esperto i preparativi indi-
spensabili, ma tuttavia assolutamente se-
condari? Se macina egli stesso il colore, se
scioglie con tanta lentezza il legaccio invece
di tagliarlo rapidamente e gettarlo via con
noncuranza, questo stimola forse la forza
della sua visione e della sua creazione arti-
stica? E che cosa lo muove a ripetere questa
serie di atti a ogni lezione con inesorabile
insistenza e addirittura con pedanteria, sen-
za ometterne alcuna parte, e a farlo imitare
dagli allievi? Egli si tiene alle usanze tradi-
zionali perch‚ i preparativi dell'opera, co-
me sa per esperienza, servono a predisporlo
alla creazione artistica. Egli deve alla calma
meditativa con cui li esegue quella necessa-
ria distensione e quell'equilibrio di tutte le
sue forze, quel raccoglimento e quella pre-
senza dello spirito senza i quali non nasce
alcuna opera valida. Assorto nella sua azio-
ne, ma senza intervenirvi volontariamente,
egli viene condotto verso il momento in cui
l'opera, di cui ha un'intuizione vaga e idea-
cbn l'arco i passi e le posizioni, qui, in forme
diverse, altri preliminari hanno la stessa
funzione. E soltanto l… dove questo non È
possibile, ad esempio per il danzatore sacro
e l'attore, il raccoglimento e la concentra-
zione precedono l'entrata in scena.
Anche in questi esempi si tratta dunque
innegabilmente, come nel tiro con l'arco, di
cerimonie. Con una chiarezza che il mae-
stro non potrebbe dare con le parole, l'allie-
vo apprende da esse che si raggiunge il
giusto atteggiamento spirituale dell'artista
quando i preparativi e l'opera, il mestiere e
l arte, il materiale e lo spirituale, il soggetti-
vo e l oggettivo trapassano senza disconti-
nuit… l'uno nell'altro. E con ciò ha trovato
un nuovo motivo d'imitazione. Ormai gli È
richiesta la completa padronanza delle for-
me della concentrazione, della meditazione
piU profonda. L'imitazione, non pi— rivolta
a contenuti oggettivi, che ciascuno con buo-
na volont… riesce in qualche modo a ripro-
durre, Si fa ora pi— libera, pi— mobile, pi—
spirituale. L'allievo si vede di fronte a nuo-
ve possibilit…, ma nello stesso tempo ap-
prende che la loro realizzazione non dipen-
de pi— minimamente dalla sua buona vo-
lont….
Ammesso che il suo talento gli permetta di
raggiungere questo livello, un pericolo qua-
Si inevitabile attende l'allievo nel suo cam-
mino d'artista. Non il perico!o 'Ii consumar-
si nel vano compiacimento di s‚ - l'uomo
dell'Estremo Oriente non ha per natura al-
cuna disposizione a questo culto del proprio
Io- ma piuttosto il pericolo di fermarsi a
ciò che egli sa ed È, a ciò che il s£ccesso
conferma e la fama celebra. Di comportarsi
cioÈ come se l'esistenza artistica fosse una
forma di vita a s‚, e che ha in s‚ il proprio
suggello e la propria giustificazione.
Il maestro lo prevede. Cautamente, e con la
pi— sottile arte nella guida d'anime, cerca di
prevenire a tempo il pericolo e di liberare
l'allievo da se stesso. Vi perviene ricordan-
dogli, senza insistervi e come se fosse un'os-
servazione occasionale, legata all'esperien-
za che l'allievo ha gi… fatto, che ogni crea-
zione valida riesce soltanto nella condizione
di schietto abbandono del proprio Io, nella
quale chi opera non può pi— essere presen-
te, come 'se stesso'. Solo lo spirito È presen-
te, una sorta di vigilanza che non presenta
affatto la sfumatura dell"io stesso', e perciò
penetra tanto pi— liberamente in tutte le
lontananze e le profondit… <~ con occhi che
odono e con orecchi che vedono¯.
Cos il maestro conduce l'allievo attraverso
se stesso. E sotto la sua g£ida l'allievo diven-
ta sempre pi— capace d'intravedere qualco-
sa di cui ha spesso sentito parlare, ma la CUl
realt… egli comincia ad afferrare solo ora
alla luce delle proprie esperienze. Non im-
porta quali nomi il maestro dia a ciò che
intende, anzi, se neppure lo nomini. L'allie-
vo lo comprende anche se non ne parla.
Ma con questo s'inizia un movimento inter-
no decisivo. Il maestro lo segue e senza
influire sul suo corso con nuovi insegna-
menti che solo lo turberebbero, aiuta l'allie-
vo nel modo pi— intimo e segreto di cui
dispone: con la trasmissione diretta dello
spirito, come si dice negli ambienti buddhi-
sti. ®Come con una candela accesa se ne
accende un'altra ¯, cos il maestro trasmette
lo spirito della vera arte da cuore a cuore
perch‚ s'illumini. Se ciò gli È concesso, l'al-
lievo ri-cor-da che pi— importante di tutte le
opere esterne, anche le pi— affascinanti, È
l'opera interiore che egli deve attuare se
vuole portare a compimento la sua vocazio-
ne d'artista.
Ma l'opera interiore consiste in questo: che
da quell'uomo che È, da quel S‚ che si sente
e sempre si ritrova, egli diventi materia per
una educazione e una formazione al cui
termine sta la maestria. In essa l'artista e
l'uomo in tutta l'estensione del termine s'in-
contrano su un piano pi— alto. Poich‚ la
maestria È giustificata come forma di vita
solo se vive di una verit… sconfinata e, soste-
nuta da essa, È l'arte delle origini. Il mae-
stro non cerca pi—, trova. Come artista È un
uomo sacerdotale, come uomo un artista a
cui, nell'azione-come nella inazione, nella
creazione come nel silenzio, nell essere o nel
non-essere, Buddha guarda in cuore. L'uo-
mo, l'artista, l'opera - sono una cosa sola.
L'arte dell'opera interiore, che non si sepa-
ra dall'artista come quella esteriore, quella
che egli non può fare ma soltanto essere,
scaturisce da profondit… che il giorno non
conosce.
La via alla maestria È ardua. Sovente l'allie-
vo prosegue nel suo cammino soltanto per
la fede che ha nel maestro; solo ora vede in
lui ii volto stesso della maestria, l'esempio
vivo dell'opera interiore, che convince per il
solo fatto di esistere.
In tale stadio l'imitazione del maestro ac-
quista il suo significato ultimo e pi— matu-
ro: conduce alla partecipazione allo spirito
della maestria attraverso il discepolato.
Quanto lontano arriver… l'allievo, questo
non preoccupa l'insegnante e maestro. Non
appena gli ha mostrato la giusta via deve
lasciare che proceda da solo. Una sola cosa
deve fare ancora perch‚ l'allievo sostenga la
prova della solitudine: lo distacca da s‚, dal
maestro, esortandolo affettuosamente ad an-
dare pi— lontano di lui e a ® salire sulle spalle
del maestro¯.
L'allievo, ovunque lo porti la sua via, potr…
perdere di vista il suo maestro, ma mai
dimenticarlo. Con una gratitudine disposta
a ogni sacrificio, e che ha preso il posto
della venerazione incondizionata del princi-
piante e della fede salvatrice dell'artista, lo
sosterr… sempre. Con innumerevoli esempi
anche del recente passato si potrebbe mo-
strare come questa gratitudine superi di
gran lunga la misura consueta tra gli uo-
mini.
Nella interpretazione della 'Grande Dottri-
na' del tiro con l'arco elevata a dignit… di
cerimonia, io penetravo di giorno in giorno
con maggiore facilit…, e la mettevo anche
agevolmente in pratica, o per meglio dire,
mi sentivo condotto attraverso di essa come
attraverso un sogno. Cos ciò che il Maestro
aveva predetto trovava conferma. Non po-
tevo però evitare che il decorso in s‚ con-
c hiuso della concentrazione durasse soltan-
to fino al momento in cui doveva partire il
colpo. La prolungata attesa nella massima
tensione diventava non soltanto faticosa,
cos da perdere di forza, ma cos insoppor-
tabile che ogni volta venivo strappato alla
concentrazione e dovevo rivolgere la mia
attenzione all'operazione del tiro. ® Smetta
di pensare al momento del tiro! ¯ esclamava
il Maestro. ®Cos non può che fallire!¯.
® Non posso fare altrimenti, ¯ rispondevo ® la
tensione diventa addirittura dolorosa¯.
® Questa sensazione la prova solo perch‚
non È vera e distaccato da s‚. Eppure È
tutto cosi dice. Una comune foglia di
bamb— può insegnarle di che si tratta. Sotto
il peso della neve si-piega in gi—, sempre pi—
in gi—. E a un tratto il carico di neve scivola
via senza che la foglia si sia mossa. Resti
come essa nella massima tensione fino a
che il colpo parta. Ô cos infatti: quando la
tensione ha raggiunto il suo limite, il colpo
deve partire, deve staccarsi dall'arciere co-
me il carico di neve dalla foglia di bamb—,
prima ancora che egli ci pensi¯.
Nonostante tutti i miei sforzi per non inter-
venire, non riuscivo ad attendere tranquil-
lamente che il colpo partisse. Ora come
prima non mi restava altro che farlo partire
volontariamente. E questo ostinato insuc-
cesso mi abbatteva tanto pi— perch‚ avevo
gi… superato il terzo anno d'insegnamento.
Non posso negare di aver passato ore cupe,
in cui mi chiedevo se in avvenire avrei potu-
to giustificare quel dispendio di tempo, che
pareva non aver pië alcun ragionevole rap-
porto con quanto avevo imparato e speri-
mentato fino allora. Mi tornò alla mente
l'osservazione ironica che mi aveva fatto un
mio connazionale: che in Giappone doveva-
no esserci cose ben pi— importanti da porta-
re a casa che proprio quell'arte infruttuosa,
e la sua domanda su che cosa ne volessi fare
pi— tardi di quell'arte e di quelle conoscen-
ze, che allora avevo respinto, all'improvviso
non mi sembrò pi— cos assurda.
Il Maestro dovette avvertire ciò che avveni-
va in me. In quel tempo, cos mi rifer pi—
tardi il signor Komachiya, aveva tentato di
approfondire un'introduzione giapponese
alla filosofia per trovare come potesse anco-
ra aiutarmi partendo da un terreno a me
familiare. Ma alla fine aveva messo da par-
te il libro infastidito e con la constatazione
che ora poteva capire meglio come a uno
che si occupava di tali cose dovesse riuscire
estremamente difficile assimilare l'arte del
tiro con l'arco.
Durante le vacanze estive andammo al ma-
re, nella solitudine di un paesaggio tacito e
sognante, di sobria bellezza. Avevamo por-
tato con noi, come il bagaglio pi— importan-
te, i nostri archi. Ogni giorno mi assillava il
problema di come far partire il colpo. Era
diventata un'idea fissa, che mi faceva di-
menticare sempre pi— l'istruzione del Mae-
stro: che ci esercitassimo soltanto nella con-
centrazione liberatrice. Considerando la co-
sa sotto ogni aspetto ed esaminando tutte le
possibilit… conclusi che l'errore non poteva
stare l… dove il Maestro lo supponeva, nella
mancanza cioÈ di abbandono dell'Io e di
ogni intenzionalit…, ma nel fatto che le dita
della mano destra tenevano troppo stretto il
poiiice. Quanio pi— il colpv tardava a parti-
re, tanto pi— le contraevo involontariamen-
te. Pensai che era l che dovevo intervenire.
Ben presto trovai una soluzione semplice e
insieme convincente del problema. Se io,
dopo aver teso l'arco, avessi disteso con
cautela e gradatamente le dita accavallate
sul pollice, sarebbe venuto il momento che
il pollice, non pi— trattenuto da esse, sareb-
be scattato da solo dalla sua posizione: po-
teva cos avvenire che il colpo partisse in un
lampo, e dunque ® si staccasse come il cari-
co di neve dalla foglia di bamb—¯. Questa
scoperta mi convinse anche per la sua sedu-
cente affinit… con la tecnica del tiro col fuci-
le. In quest'ultima, infatti, il dito indice
viene piegato lentamente fino al momento
in cui una leggerissima pressione supera
l'ultima resistenza.
Mi convinsi rapidamente che dovevo essere
sulla buona strada. Quasi ogni colpo parti-
va senza scosse e, cos mi sembrava, inav-
vertitamente. Non mi sfuggiva tuttavia il
rovescio della medaglia: il lavoro di preci-
sione della mano destra esigeva tutta la mia
attenzione. Ma mi consolavo con la speran-
za che questa soluzione tecnica a poco a
poco mi sarebbe diventata cos familiare da
non richiedere pi— una particolare attenzio-
ne, e che cos sarebbe venuto il giorno in cui
io, proprio grazie a essa, restando immobile
e distaccato nella massima tensione, sarei
pevolmente; che cioÈ anche in questo caso
l'abilit… tecnica si sarebbe spiritualizzata
Con questa convinzione e sempre pi— fidu
CiOSO feci tacere quanto dentro di me vi si
opponeva, e neppure ascoltai le obiezioni di
mia moglie, giungendo finalmente alla con-
solante sensazione di aver fatto un passo
~, avanti.
L Gi… il primo colpo che feci partire alla ripre-
L sa delle lezioni, riusc, a mio avviso, perfet-
tamente. Part liscio e improvviso. Il Mae-
stro mi guardò per un poco e poi, esitante
come uno che non crede ai propri occhi
disse: ®Un'altra volta, la prego¯. Il mio
secondo tiro mi sembrò avesse ancora supe-
rato il primo. Allora il Maestro mi si
avvicinò senza parlare, mi tolse di mano
l'arco e sedette su un cuscino, voltandomi le
spalle. Compresi che cosa significava e me
ne andai.
Il giorno dopo il signor Komachiya mi
comunicò che il Maestro rifiutava di conti-
nuare a darmi lezione perch‚ avevo cercato
d'ingannarlo. Estremamente turbato da
~questa interpretazione della mia condotta,
spiegai al signor Komachiya come io, per
non segnare ancora il passo, fossi giunto a
quel modo di tirare. Per sua intercessione il
maestro finalmente si dichiarò disposto a
~tornare sulla sua decisione, ma fece dipen-
dere la ripresa delle lezioni dalla mia espli-
cita promessa di non Irasgredire mai pi—
allo spirito della 'Grande Dottrina'.
Se non mi avesse guarito la profonda
umiliazione, l'avrebbe fatto il contegno del
Maestro. Egli non fece alcuna allusione a
ciò che era avvenuto, ma disse soltanto
molto semplicemente: ®Lei vede che cosa
vuol dire non poter restare senza intenzio-
ne nello stato di massima tensione. Lei non
riesce nemmeno a continuare a imparare
senza chiedersi continuamente: ce la farò?
Aspetti pazientemente quel che viene e
come viene! ¯. Gli feci osservare che erava-
mo gi… al quarto anno d'insegnamento e
che il mio soggiorno in Giappone era di
durata limitata.
®La via alla meta¯ replicò ®non si può
misurare, che significano settimane, mesi,
anni? ¯.
® Ma se devo interrompere a met… stra-
da?¯ chiesi.
® Quando lei sar… veramente distaccato
dall'Io potr… interrompere ad ogni momen-
to. Dunque si eserciti in questo!¯.
E cos ricominciò da principio, come se ciò
che avevo imparato fino allora non fosse
servito a nulla. Ma il restare senza inten-
zione nello stato di massima tensione non
mi riusciva neppure ora, come se fosse
impossibile uscire dal vecchio binario.
Perciò un giorno chiesi al Maestro: ®Ma
come può partire il colpo se non lo tlro
'io'? ¯.
® 'Si' tira ¯.
®L'ho gi… sentito dire pi— volte da lei e
perciò devo porre diversamente la mia do-
manda: come posso attendere il tiro, dimen-
tico di me, se 'io' non devo entrarci per
nulla? ¯.
®'Si' permane nella massima tensione¯.
®E chi o che cosa È questo 'Si'?¯.
® Quando l'avr… compreso non avr… pi— bi-
sogno di me. E se io, risparmiandole di
farne lei stesso l'esperienza, volessi metterla
sulla strada, sarei il peggiore dei maestri e
meriterei di essere cacciato. Dunque non
parliamone pi—, ma esercitiamoci! ¯.
Passarono settimane senza che avessi fatto
un passo avanti. In compenso constatai che
questo non mi turbava minimamente. Mi
ero dunque stancato di quell'arte? Appren-
derla o no, scoprire o no che cosa il Maestro
intendesse con quel 'Si', trovare o no acces-
so allo Zen- tutto questo mi sembrava a un
tratto cos lontano, cos indifferente che non
mi preoccupava pi—. Varie volte mi proposi
di confidarmi con il Maestro, ma quando
poi ero davanti a lui me ne mancava il
coraggio; ero persuaso di non ricevere altra
risposta che la solita: ® Non faccia doman-
de, ma si eserciti ¯. Rinunciai dunque a
chiedere e pi— volentieri di tutto avrei ri-
nunciato anche all'esercizio, se il Maestro
non mi avesse tenuto in pugno cos inesora-
bilmente. Vivevo alla giornata, sbrigavo be-
ne o male il mio lavoro professionale, e
infine non mi preoccupai neppure pi— del
fatto che mi fosse diventato indifferente tut-
to.ciò a cui mi ero applicato con tanta co-
stanza.
Ed ecco che un giorno, dopo un tiro, il
Maestro s'inchinò profondamente e inter-
ruppe la lezione. ® Proprio ora 'Si' È tirato ¯
esclamò, quando io lo fissai stupefatto. E
quando ebbi finalmente compreso che cosa
intendesse, non riuscii a contenere la mia
gioia.
® Quel che ho detto ¯ mi rimproverò il Mae-
stro ®non era una lode, ma una semplice
constatazione, che non la deve toccare. E
non mi sono inchinato davanti a lei, perch‚
lei non c'entra affatto. Questa volta lei si È
mantenuto nella massima tensione nel com-
pleto oblio di s‚ e d'ogni intenzione; ed ecco
che il colpo si È staccato da lei come un
frutto maturo. E ora continui ad esercitarsi
come se non fosse accaduto nulla! ¯.
Solo dopo parecchio tempo riuscirono di
quando in quando altri colpi giusti, che il
Maestro, senza parlare, rilevava con un
profondo inchino. Come avvenisse che par-
tissero come da soli, senza mio intervento,
come accadesse che la mia mano destra,
quasi chiusa, si aprisse improvvisamente e
scattasse indietro, non lo sapevo spiegare
allora n‚ so spiegarlo oggi. Il fatto È che
cos avveniva, e questo solo importa. Ma
per lo meno arrivai a poco a poco a distin-
guere da me i tiri giusti da quelli difettosi.
La differenza qualitativa tra gli uni e gli
altri È cos grande che non può sfuggire a
chi l'ha sperimentata una volta. All'ester-
no, allo spettatore, il tiro giusto si manife-
sta, per un verso, dal fatto che lo scatto
all'indietro della mano destra viene frenato
e perciò non provoca alcuna scossa. Dal-
l'altro, dopo i tiri sbagliati il respiro tratte-
nuto si scarica con violenza e non si può
riprendere fiato abbastanza rapidamente.
Nei tiri giusti invece il fiato viene espirato
gradatamente e senza sforzo, dopodich‚
l'inspirazione avviene senza fretta. Il cuore
continua a battere regolarmente e la con-
centrazione non interrotta permette di pas-
sare subito al tiro successivo. Ma all'inter-
no, per l'arciere stesso, i tiri giusti produ-
cono un tale effetto che gli sembra che il
giorno sia cominciato solo allora. Dopo
quei tiri egli si sente disposto a ogni giusta
attivit…, o, ciò che È ancora pi— importante,
a ogni giusta inattivit…. Ô una condizione
meravigliosa. Ma chi vi si trova, ammoni-
sce il Maestro con un fine sorriso, fa bene a
starci come se non ci si trovasse. Solo se
affrontata con assoluta imperturbabilit…
non tarda a ritornare.
®Ora il peggio l'abbiamo dietro di noi¯
dissi al Maestro quando un giorno mi
annunciò che si sarebbe passati a nuovi
esercizi.
®Da noi si consiglia¯ rispose ®che chi ha
da percorrere cento miglia consideri le no-
vanta come met…. La novit… di CUi ora si
tratta È il tiro al bersaglio¯.
Fino allora era servito da mira e allo stesso
tempo a raccogliere le frecce un disco di
paglia su un cavalletto di legno, di fronte al
quale ci si poneva a una distanza di circa
due lunghezze di freccia. Il bersaglio inve-
ce, piantato a una distanza di circa sessanta
metri, posa su un rilievo di sabbia alto e
largo, che si appoggia a tre pareti e, come la
sala in cui sta il tiratore, È protetto da un
tetto di tegole di bella sagoma. Le due sale
sono collegate da alte pareti di assi e isolano
dall'esterno lo spazio in cui avvengono cose
tanto singolari.
Il Maestro eseg— davanti a noi il tiro al
bersaglio. Le sue due frecce colpirono il
centro. Poi ci invitò a eseguire la cerimonia
esattamente come prima e, senza lasciarci
minimamente turbare dal bersaglio, ad at-
tendere nella massima tensione che il colpo
partisse. Le nostre snelle frecce di bamb—
volarono, È vero, nella direzione voluta, ma
in parte non colpirono nemmeno il rilievo di
sabbia e tanto meno il bersaglio, ma si
conficcarono davanti a esso nel terreno.
® Le vostre frecce non hanno suffi:ciente
portata¯ osservò il Maestro ®perch‚ non
arrivano abbastanza lontano spiritualmen-
te. Voi dovete comportarvi come se la meta
fosse infinitamente lontana. A noi maestri
d'arco È noto e confermato dalle esperienze
quotidiane che un buon arciere con un arco
di media potenza tira pi— lontano di un
arciere senza spirito col pi— forte degli ar-
chi. Non dipende dunque dall'arco ma dal-
la 'presenza dello spirito', dallo spirito vivo
e vigile con cui tirate. Ma perch‚ questa
vigilanza spirituale raggiunga la massima
tensione, voi dovete eseguire la cerimonia
diversamente da come avete fatto finora:
all incirca come danza un vero danzatore.
Se lo fate cos, i movimenti delle vostre
membra scaturiranno da quel centro dove
avviene la giusta respirazione. E allora È
come se voi, invece di svolgere la cerimonia
come qualcosa d'imparato a memoria, la
improvvisaste seguendo l'ispirazione del
momento, cos che danza e danzatore siano
una cosa sola. Se eseguirete dunque la ceri-
monia come una danza rituale, la vostra
vigilanza spirituale raggiunger… la massima
intensit… ¯.
Non so fino a che punto mi riusc allora di
'danzare' la cerimonia e animarla cos dal
centro. Il mio tiro, È vero, non era pi— trop-
po corto, ma non arrivava a colpire il bersa-
glio. Questo mi spinse a chiedere al Mae-
---- r---- - -
come si mira. Ci deve pure essere, suppone-
vo, un rapporto tra bersaglio e punta della
freccia, e cos un modo di mirare che renda
possibile far centro.
® Naturalmente c'È, ¯ rispose il Maestro ® e
lei potr… trovare facilmente da s‚ l'imposta-
tura adatta. Ma se anche poi ogni suo tiro
colpisce il bersaglio lei non sarebbe che un
virtuoso dell'arco, che può esibirsi. Per
l'ambizioso, che conta quante volte fa cen-
tro, il bersaglio non È che un povero pezzo
di carta che egli fa a pezzi. La 'Grande
Dottrina' del tiro con l'arco considera que-
sto pura stregoneria. Essa non sa nulla di
un bersaglio che È piantato a una certa
distanza dall'arciere. Conosce solo la meta,
che non si raggiunge in alcun modo tecnica-
mente, e chiama questa meta, se pur la
nomina, Buddha ¯. Dopo queste parole, che
pronunciò come se si comprendessero da s‚,
il Maestro ci invitò a osservare i suoi occhi
mentre tirava. Come durante l'esecuzione
della cerimonia, anche ora essi erano pres-
soch‚ chiusi, e cos non avevamo l'impres-
sione che egli mirasse.
Noi continuavamo docilmente a esercitarci
e lasciavamo che 'Si' tirasse. Dapprima non
mi curai affatto di dove andassero a finire le
frecce. Persino quei pochi tiri giusti non mi
eccitavano, sapevo bene che mi erano dati.
Ma alla lunga non mi sentii all'altezza di
questo tiro alla cieca. Ricaddi nella tenta-
zione di rifletterci sopra. Il Maestro non
mostrò d'accorgersi del mio turbamento
fino a che un giorno gli confessai che ero
disorientato.
® Lei si preoccupa inutilmente, ¯ mi consolò
® si tolga dalla mente il pensiero di colpire
nel segno! Può diventare un maestro d'arco
anche se non tutti i colpi fanno centro I
colpi centrati l… sul bersaglio sono soltanto
prove e conferme esterne della sua mancan-
za d'intenzione, del suo abbandono dell'Io
della sua concentrazione, portate all'estre-
mo, o come voglia chiamare questo stato.
Vi sono gradi nella maestria, e solo chi ha
raggiunto l'ultimo non può mancare anche
il bersaglio esterno¯.
®Ma È proprio questo che mi riesce dif-
ficile ¯ risposi. ® Credo di capire ciò che lei
intende con il bersaglio vero, quello inter-
no, che va colpito. Ma come avvenga che il
bersaglio esterno, quel disco di carta, venga
colpito senza che il tiratore abbia mirato
e che cos i colpi centrati confermino all'e-
sterno ciò che avviene internamente, questa
correlazione mi È incomprensibile¯
® Lei È mal consigliato, ¯ mi fece osservare il
Maestro dopo un momento ®se crede che
una comprensione anche in parte soddisfa-
cente di queste oscure connessioni possa
portarla avanti. Si tratta qui di processi a
CUi l'intelletto non arriva. Non dimentichi
che anche nelLa natura ci sono corrispon-
denze incomprensibili eppure cos reali che
ci abbiamo fatto tanto l'abitudine da non
pensare che possano essere altrimenti. Le
citerò un esempio che mi ha dato spesso da
pensare: il ragno danza la sua rete senza
sapere che ci siano mosche che vi si impi-
glieranno. La mosca, danzando spensierata
in un raggio di sole, s'impiglia nella rete
senza sapere che cosa l'attende. Ma attra-
verso l'uno e l'altra 'Si' danza, e in quella
danza interno ed esterno sono una cosa so-
la. Cos l'arciere colpisce il bersaglio senza
aver mirato esternamente--meglio non glie-
lo so dire¯.
Per quanto questo paragone mi desse da
pensare, senza però che riuscissi a com-
prenderlo fino in fondo - qualcosa dentro di
me non voleva placarsi e mi impediva di
continuare ad esercitarmi con cuore legge-
ro. Una obiezione, che nel corso delle setti-
mane si fece sempre pi— precisa, mi sal
finalmente alle labbra. E chiesi: ®Non si
può almeno supporre che dopo decenni d'e-
sercizio lei, involontariamente e con la sicu-
rezza di un sonnambulo, tenda l'arco e in-
cocchi la freccia in modo che senza aver
consapevolmente mirato colpisca il bersa-
glio, anzi, lo debba necessariamente col-
pire? ¯.
Il Maestro, ormai abituato alle mie fastidio-
se domande, scosse la testa. ®Non voglio
negare ¯ disse dopo una pausa di silenzio e
di riflessione ® che in ciò che lei dice possa
esserci qualcosa di vero. Mi metto pure 'di
fronte' al bersaglio, cos che necessariamen-
te lo vedo, anche se non mi rivolgo verso di
esso volontariamente. Ma d'altra parte so
che tale vista non basta, non decide, non
spiega nulla, perch‚ io vedo il bersaglio co-
me non lo vedessi¯.
® E allora dovrebbe colpirlo anche con gli
occhi bendati¯ mi sfugg detto.
Il Maestro mi fissò con uno sguardo che mi
fece temere di averlo ferito, quindi disse:
®Venga stasera!¯.
Presi posto davanti a lui su —n cuscino. Mi
porse il tÈ, ma non parlò. Cos rimanemmo
seduti per molto tempo. Non si sentiva che
il canterellare dell'acqua che bolliva sui
carboni accesi. Finalmente il Maestro si
alzò e mi fece cenno di seguirlo. La sala
degli esercizi era tutta illuminata. Il Mae-
stro mi disse di piantare nella sabbia da-
vanti al bersaglio una candelina di quelle
usate contro le zanzare, lunga e sottile come
un ferro da calza, ma non di accendere la
luce nella sala dove era il bersaglio. Era cos
buio che non potevo neppure distinguerne i
contorni, e se il minuscolo puntino di fuoco
non si fosse tradito avrei forse potuto indovi-
nare il luogo dove stava il bersaglio, ma non
trovarlo con esattezza. Il Maestro 'danzò'
la cerimonia. La sua prima freccia part
dalla luce piena verso la profonda notte.
Dal suono dell'impatto riconobbi che aveva
colpito il bersaglio. Anche la seconda frec-
cia lo colp. Quando ebbi fatto luce nella
sala del bersaglio, scoprii con mio profondo
stupore che la prima freccia era confitta nel
centro, mentre la seconda aveva scheggiato
la cocca della prima freccia, fendendone per
un tratto l'asta, prima di conficcarsi accan-
to a essa nel centro. Non osai estrarre le due
frecce separatamente, ma le riportai insie-
me al bersaglio. Il Maestro le considerò
attentamente. ®Il primo colpo¯ disse poi
® non È stato, lei dir…, una cosa straordina-
ria, perch‚ la sala del bersaglio da decenni
mi È cos familiare che anche nel buio pi—
fitto dovrei sapere dove si trova il bersaglio.
Può darsi - e non voglio cercare delle scuse.
Ma la seconda freccia, che ha colpito la
prima - che ne dice? Ad ogni modo so che
non sono 'io' a cui si può attribuire quel
colpo. 'Si' È tirato e 'Si' È colpito. Inchinia-
moci davanti al bersaglio come davanti a
Buddha! ¯.
Con le sue due frecce il Maestro aveva visi-
bilmente colpito anche me. Come se duran-
te la notte io fossi diventato un altro, non
caddi pi— nella tentazione di curarmi delle
mie frecce n‚ di ciò che di esse avveniva. Il
Maestro mi confermò anche lui in questo
atteggiamento non guardando mai il bersa-
glio, ma tenendo sempre d'occhio soltanto
l'arciere, come se fosse in lui che potesse
leggere pi— sicuramente l'esito del colpo.
Interrogato, l'ammise francamente, e io po-
tei ogni volta constatare che il suo giudizio
dava nel segno non meno delle sue frecce.
Cos, egli stesso in profonda concentrazio-
ne, trasmetteva agli allievi lo spirito della
sua arte, e per mia stessa esperienza, a cui
per molto tempo non ho voluto prestar fede,
non temo di confermare che ciò che si dice
della comunicazione diretta non È un modo
di dire ma una realt… tangibile. Ma anche
un altro genere di aiuto mi venne dal Mae-
stro in quel tempo, ed egli lo chiamava
ugualmente trasmissione diretta dello spiri-
to. Quando io fallivo pi— colpi successivi,
egli tirava alcuni colpi col mio arco.
Il miglioramento era sorprendente; si sa-
rebbe detto che l'arco si lasciasse tendere
diversamente da prima, con pi— docilit…,
pi— intelligenza. Non accadeva soltanto a
me. Persino i suoi allievi pi— vecchi e esper-
ti, uomini dalle professioni pi— diverse, non
lo ponevano in discussione e si meraviglia-
vano che io ne chiedessi come uno che vuol
andare sul sicuro. Allo stesso modo nessuno
potr… rimuovere i maestri di spada dalla
loro convinzione che ogni spada forgiata
con infinita cura e faticoso lavoro non assu-
ma lo spirito dell'artefice, che perciò si pone
anche all'opera in abito rituale. Le loro
esperienze sono troppo concordanti ed essi
stessi troppo esperti per non percepire come
una spada risponda.
Un giorno, al momento in cui il colpo par-
tiva, il Maestro esclamò: ® Eccolo! S'in-
chini!¯. Quando pi— tardi guardai il ber-
saglio--purtroppo non seppi farne a meno--
notai che la freccia ne aveva sfiorato solo
l'orlo. ®Questo È stato un colpo giusto¯
affermò il Maestro ®e cos va cominciato.
Ma basta per oggi, se no al prossimo tiro lei
si dar… troppo da fare e roviner… il buon
inizio ¯.
Col tempo diversi tiri l'uno dietro l'altro
riuscirono a colpire il bersaglio, natural-
mente sempre tra molti mal riusciti. Ma se
accennavo appena ad esserne orgoglioso, il
Maestro mi redarguiva con insolita durez-
za. ®Che le viene in mente?¯ esclamava.
® Dei colpi cattivi non deve irritarsi, questo
lo sa da un pezzo. Impari anche a non
rallegrarsi di quelli buoni. Lei deve liberarsi
dell'altalena del piacere e dispiacere. Deve
imparare a starne al disopra con distacco e
indifferenza e perciò a rallegrarsi come se
un altro e non lei avesse tirato bene. Anche
in questo deve esercitarsi instancabilmente.
Non può nemmeno immaginarsi quanto sia
importante ¯.
In quelle settimane e in quei mesi sono
passato attraverso la scuola pi— dura della
mia vita, e anche se non mi riusc sempre
facile piegarmici, imparai a poco a poco a
gli ultimi stimoli ad occuparmi di me stesso
e delle oscillazioni del mio stato d'animo
® Capisce ora ¯ mi chiese un giorno il Mae
stro dopo un colpo particolarmente ben riu-
sclto ® che significa: 'Si' tira, 'Si' colpisce? ¯.
® Io temo ¯ risposi ® di non capire pi— nulla
anche la cosa pi— semplice mi si confonde.
Sono io che tendo l'arco, o È l'arco che mi
trae alla massima tensione? Sono io che
colpisco il bersaglio o È il bersaglio che col-
pisce me? Quel 'Si' È spirituale agli occhi
del corpo e corporeo agli occhi dello spirito
- È ambedue le cose o nessuna delle due?
Tutto questo, arco, freccia, bersaglio e Io si
intrecciano tra loro in modo che non so pi—
separarli. E persino il bisogno di separarli È
scomparso. Perch‚ non appena tendo l'arco
e tiro, tutto diventa cos chiaro e naturale e
cos ridicolmente semplice... ¯
® Proprio ora ¯ mi interruppe il Maestro ® la
corda dell'arco l'ha trapassata da parte a
parte ¯.
Maestro ci propose di sottoporci a un esame
pubblico. ®Non si tratta soltanto¯ spiegò
® di mostrare la vostra abilit…; verr… apprez-
zato molto di pi— l'atteggiamento spirituale
dell'arciere, fin nei particolari meno appari-
scenti del suo comportamento. In ogni mo-
do io mi aspetto da voi che non vi lasciate
turbare dalla presenza di spettatori, ma ese-
guiate in perfetta calma la cerimonia quasi
fossimo, come finora, tra noi soli¯.
Nelle settimane seguenti, infatti, non si
lavorò in vista dell'esame, a cui non si fece
neppure cenno, e spesso gi… dopo pochi tiri
la lezione veniva interrotta. In compenso ci
fu assegnato il compito di eseguire a casa
nostra la cerimonia con le sue figure e le sue
posizioni, ma anzitutto con la giusta respi-
razione, e di concentrarci profondamente.
Ci esercitammo nel modo prescritto e non
appena ci fummo abituati a danzare la ceri-
monia senza arco e frecce scoprimmo che
gi… dopo pochi passi ci sentivamo straordi-
nariamente concentrati, e tanto maggior-
mente quanto pi— badavamo a facilitare il
processo di concentrazione col rilassamen-
to del corpo, che ci era facile provocare.
Quando poi a lezione riprendevamo in ma-
no arco e freccia, gli esercizi fatti a casa
avevano un effetto cos benefico che anche
l… scivolavamo agevolmente nello stato di
'presenza dello spirito'. Ci sentivamo cos al
sicuro che attendemmo con perfetta calma
il giorno dell'esame. Superamm-o la~ prova,
cos che il Maestro non ebbe bisogno di
chiedere l'indulgenza degli spettatori con
un sorriso imbarazzato, e ricevemmo dei
diplomi che furono redatti sul luogo, con
l'indicazione del grado di maestria che cia-
scuno di noi aveva raggiunto. Il Maestro
concluse l'esame tirando, in un costume
stupendo, due colpi magistrali. Pochi giorni
dopo mia moglie in un esame pubblico ot-
tenne anche il titolo di maestra nell'arte di
disporre i fiori.
Da allora l'insegnamento prese un'altra
piega. Contentandosi di pochi tiri per eser-
cizio, il Maestro passò a spiegarci distesa-
mente la 'Grande Dottrina' del tiro con l'ar-
co, e insieme ad applicarla ai gradi che
avevamo raggiunto. Sebbene si muovesse
tra immagini misteriose e metafore oscure,
anche pochi cenni bastavano a farci com-
prendere di che si trattava. Pi— diffusamen-
te si soffermava sulla natura dell"arte
senz'arte' a cui deve condurre il tiro con
l'arco se vuole raggiungere il suo compi-
mento. ®Chi È capace¯ diceva ®di tirare
con la corazza della lepre e il pelo della
tartaruga, dunque di far centro senza arco
(corazza) n‚ freccia (pelo), solo questi È
maestro nel pi— alto significato della parola,
maestro dell'arte senz'arte, anzi l'arte sen-
z'arte stessa, e cos ad un tempo maestro e
non-maestro. A questo punto il tiro con
l'arco, come movimento senza movimento,
danza senza danza - trapassa nello Zen ¯.
Quando un giorno chiesi al Maestro come
avremmo fatto, una volta ritornati in pa-
tria, ad andare avanti senza di lui, egli ri-
spose: ®La sua domanda ha gi… avuto ri-
sposta dall'invito che vi ho fatto di sottopor-
vi a un esame. Lei È arrivato a un grado in
cui maestro e allievo non sono pi— due, ma
uno. Lei può dunque separarsi da me in
qualunque momento. E anche se vi saranno
tra noi vasti oceani, quando lei si eserciter…
come ha imparato, io sarò sempre presente.
Non ho bisogno di chiederle di non rinun-
ciare a nessun costo a esercitarsi regolar-
mente, a non lasciare passare un giorno
senza aver eseguito la cerimonia, anche sen-
za arco n‚ freccia, o per lo meno senza aver
respirato nel modo giusto. Non ho bisogno
di chiederglielo perch‚ so che lei non potr…
pi— rinunciare al tiro con l'arco spirituale.
Non me ne scriva mai, ma ogni tanto mi
mandi delle fotografie dalle quali io possa
vedere come lei tende l'arco. Allora saprò
tutto ciò che devo sapere.
® Ma a una cosa devo prepararla. Nel corso
di questi anni tutti e due siete diventati
diversi. L'arte del tiro con l'arco porta que-
sto con s‚: l'arciere affronta se stesso fin
nelle ultime profondit…. Probabilmente fino
ad ora ve ne siete appena accorti, ma lo
sentirete inevitabilmente quando in patria
ritroverete amici e conoscenti: non vi inten-
derete pi— come una volta. Vedrete molte
cose diversamente e misurerete con altro
metro. Anche a me È avvenuto lo stesso e
questo attende tutti coloro che sono stati
toccati dallo spirito di quest'arte¯. Come
commiato, che non fu un commiato, il Mae-
stro mi porse il suo migliore arco. ® Quando
tirer… con questo arco sentir… che la mae-
stria del maestro È presente. Ma non lo dia
in mano a curiosi! E quando ne sar… padro-
ne, non lo conservi per ricordo! Lo distrug-
ga, che non ne resti che un mucchietto di
cenere! ¯.
~ . . . . . . .
Temo intanto che in qualcuno si sia destato
il sospetto che il tiro con l'arco, da quando
non ha pi— parte nella lotta dell'uomo con-
tro l'uomo, sia sopravvissuto rifugiandosi in
una spiritualit… eccessiva e in questo modo
si sia sublimato morbosamente. N‚ posso
farne carico a chi cos sente.
Rileverò dunque una volta di pi— e ancor
pi— decisamente che l'influenza radicale
dello Zen sulle arti giapponesi e con esse
sull'arte del tiro con l'arco non e cosa di
tempi recenti, ma risale a molti secoli ad-
dietro. Una cosa È certa: che un maestro
d'arco di tempi remotissimi, che avesse af-
frontato la prova chiss… quante volte, non
avrebbe potuto dire dell'essenza della sua
arte cose diverse da quelle di un maestro del
tempo presente in cui sia viva la 'Grande
Dottrina'. Attraverso i secoli lo spirito di
quest'arte È rimasto lo stesso - altrettanto
immutabile che lo Zen.
Ma per rispondere intanto ai dubbi ancora
possibili e del resto comprensibili, come so
per esperienza, voglio fare un rapido con-
fronto con un'altra arte, il cui significato
agonistico non può esser negato neppure
nelle condizioni odierne: l'arte della spada.
Tengo a farlo non solo perch‚ il Maestro
Awa sapeva maneggiare anche la spada
'spiritualmente' e perciò all'occasione ac-
cennava alla sorprendente concordanza
delle esperienze dei maestri d'arco e di spa-
da, ma pi— ancora perch‚ si possiede un
documento letterario di altissimo livello del
tempo in cui la cavalleria era nella sua mas-
sima fioritura e i maestri di spada dovevano
essere in grado di provare la loro maestria
nella maniera pi— irrevocabile, tra la vita e
la morte. Ô il trattato di Takuan, un gran-
de maestro dello Zen, L'immobile comprensio-
ne, in cui si parla dettagliatamente del rap-
porto dello Zen con l'arte della spada e
se sia l'unico documento che esponga con
tanta ampiezza e nel suo spirito originario
la 'Grande Dottrina' dell'arte della spada;
ancor meno so se esistano testimonianze
simili che riguardino il tiro con l'arco. Ma
una cosa È sicura: È una grande fortuna che
il trattato di Takuan ci sia stato conservato,
e un grande merito di D.T. Suzuki di aver
tradotto senza abbreviazioni sostanziali
questo scritto indirizzato a un famoso mae-
stro di spada e cos averlo reso accessibile a
una vasta cerchia di lettori.l Ordinandolo e
riassumendolo liberamente, cercherò di
mettere in rilievo nel modo pi— chiaro e
conciso ciò che parecchi secoli fa si intende-
va per maestria della spada e ciò che da
allora si debba intendere secondo l'inter-
pretazione concorde di grandi maestri.
Forti delle esperienze fatte su di s‚ e sui loro
allievi, i maestri di spada danno per prova-
to che il principiante, per quanto forte e
combattivo, per quanto coraggioso e intre-
pido sia per natura, all'inizio dell'insegna-
mento perde insieme alla spontaneit… anche
la fiducia in se stesso. Ora impara a cono-
scere tutte le possibilit… tecniche che nel
combattimento mettono a rischio la vita, e
1. Suzuki, Zen und die KulturJapans [trad. dall'originale
inglese Zen andJapancsc Culture, New York, 1959], pp.
per quanto sia prEsto in grado di affinare al
massimo la sua attenzione, di osservare
acutamente il suo avversario, di parare a
regola d'arte i suoi colpi e di fare degli
assalti efficaci, si trova peggio di prima,
quando esercitandosi alla scherma tirava
colpi alla ventura, secondo l'ispirazione del
momento e del suo ardore combattivo, un
po' per gioco, un po' sul serio. Ora deve
ammettere di essere inferiore a ogni avver-
sario pi— forte, pi— agile e pi— esperto, ac-
cettare di essere esposto ai suoi colpi sicuri e
spietati. Non vede altra via se non di eserci-
tarsi indefessamente, e anche il suo maestro
non sa dargli per ora altro consiglio. Cos il
principiante fa di tutto per superare gli altri
e persino se stesso. Acquista una tecnica
stupefacente, che gli restituisce una parte
della sicurezza perduta e si sente sempre
pi— vicino alla meta agognata. Il maestro
intanto È di diverso parere - a ragione, ci
assicura Takuan: ch‚ tutta l'abilit… acqui-
stata dall'allievo ha per solo effetto che ® il
suo cuore viene trascinato dalla spada¯.
Ma l'insegnamento iniziale non può essere
impartito altrimenti; È perfettamente ade-
guato al principiante. Non conduce tuttavia
alla meta, come il maestro sa benissimo.
Che l'allievo, malgrado il suo zelo e l'attitu-
dine forse innata al maneggio della spada,
non diventi un maestro di spada È inevitabi-
le. Ma da che dipende se egli, che da tempo
deratamente dalla passione ma a conserva-
re il sangue freddo, se egli, che sa calcolare
avvedutamente la sua forza fisica, si sente
temprato per un combattimento di lunga
durata e tutt'intorno non trova che a fatica
un avversario della sua statura, da che di-
pende tuttavia se, misurato con le misure
ultime, fallisce e non va pi— oltre~
Questo dipende, secondo Takuan, dal fatto
che il principiante non può fare a meno di
osservare attentamente il suo avversario e
la sua maniera di maneggiare la spada; che
riflette a come attaccarlo nel modo pi— effi-
cace e spia l'attimo in cui quello si scopra
Dipende, per dirla in breve, dal fatto che
egli fa ricorso a tutta la sua arte e la sua
scienza. Cosi facendo, dice Takuan, egli
perde la ~< presenza del cuore ¯: il suo colpo
deciso arriva sempre in ritardo e perciò egli
non È in grado di ® volgere contro lui
stesso ¯ la spada dell'avversario. Quanto
plU far… dipendere la superiorit… della sua
scherma dalla sua riflessione, dal consape-
vole impiego della sua abilit…, della sua espe-
rienza e della tattica, tanto pi— ostacoler… il
libero gioco dell'® azione del cuore ¯. In che
modo Sl ripara a questo? In che modo l'abi-
lita diventa spirituale', in che modo la pa-
dronanza assoluta della tecnica si trasforma
nell'uso magistrale della spada? Solo con
l'abbandono dell'intenzione e dell'Io, È la
ll;!~JVi~La.. ~ ~ ,VVV. ~ r ~
non solo dall'avversario, ma anche da se
stesso. Lo stadio in cui ancora si trova deve
percorrerlo tutto, lasciarlo definitivamente
dietro di s‚ - a rischio di naufragare. Non
suona questo altrettanto assurdo di quan-
do, nel tiro con l'arco, si pretende che si
debba far centro senza aver mirato, che si
debba dunque completamente perdere di
vista bersaglio e intenzione di colpirlo? Si
consideri tuttavia che quella maestria nella
spada, di cui Takuan descrive la natura, ha
fatto mille volte buona prova proprio in
combattimento.
Tocca al maestro trovare non la via stessa
che porta alla meta, ma la forma di quella
via rispondente al carattere particolare del-
l'allievo e assumersene la responsabilit….
Sua prima cura sar… di renderlo capace di
schivare istintivamente i colpi, anche quan-
do gli vengono portati all'improvviso. D.T.
Suzuki, in un delizioso aneddoto, ha de-
scritto il metodo estremamente originale
con cui un maestro adempiva a questo com-
pito tutt'altro che facile. L'allievo deve ac-
quistare, per cos dire, un nuovo senso o
meglio una nuova vigilanza di tutti i suoi
sensi, che lo renda capace di schivare i colpi
che lo minacciano come se li avesse previsti.
Divenuto padrone di quest'arte, non ha pi—
bisogno di concentrare la sua attenzione sui
movimenti del suo avversario o addirittura
di pi— avversari alla volta= Ma, nell'attimo
in cui vede e presente ciò che sta per avveni-
re, Sl È gi… sottratto istintivamente al suo
effetto, senza che tra la percezione e l'azione
vi sia ® lo spessore di un capello ¯. Si tratta
dunque di questo: di questa reazione imme-
diata e fulminea, che non ha pi— bisogno di
osservazione consapevole. E cos l'allievo,
da questo punto di vista almeno, si È reso
indipendente da ogni intenzione consapevo-
le. E questo È gi… un grande acquisto.
Ben plë difficile, e in verit… decisivo per
l esito, È il compito successivo: impedire che
l'allievo rifletta e cerchi di scoprire il punto
debole dell'avversario. Anzi, d'ora in poi
non dovr… neppure pensare che ha a che
fare con un avversario e che si tratta di vita
o di morte.
L'allievo crede di aver compreso queste re-
gole e da principio pensa- n‚ potrebbe
essere altrimenti - che gli basti rinunciare a
osservare e a studiare tutto ciò che riguar-
da il comportamento dell'avversario Egli
prende molto sul serio la rinuncia richiesta-
gli e si controlla a ogni passo. Ma cos fa-
cendo non s'accorge che concentrandosi su
se stesso viene a considerarsi come uno che
sta combattendo e che deve evitare di osser-
vare l'avversario. Per quanto faccia, serVe-
tamente l'ha sempre presente. Si È sciolto
da lui solo in apparenza, ma in realt… si È
legato a lui ancora pi— forte.
Occorre molta e finissima arte nella gulda
delle anime per persuadere l'allievo che con
questo spostamento dell'attenzione in fondo
non ha guadagnato nulla. Egli deve impa-
rare a fare astrazione da s‚ altrettanto deci-
samente che dal suo avversario, e cos spo-
gliarsi radicalmente da ogni intenzione. Ô
necessario molto esercizio paziente, molto
esercizio infruttuoso, esattamente come nel
tiro con l'arco. Ma se tali esercizi condur-
ranno un giorno alla meta, l'ultimo residuo
di intenzione - di sforzo consapevole - È
scomparso, il distacco È raggiunto.
Il comportamento che s'instaura natural-
mente in tale stato di distacco, di affranca-
mento dall'intenzione, ha una somiglianza
sorprendente con la capacit… di schivare i
colpi raggiunta nella fase precedente. Co-
me, in quella, tra la percezione del colpo
previsto e la parata non c'È lo spessore di un
capello, cos avviene ora tra la parata e la
risposta. Nel punto stesso in cui schiva il
colpo, il combattente gi… si appresta a corpi-
re, e prima ancora che se ne renda conto il
suo colpo mortale cala, preciso e irresistibi-
le. Ô come se la spada si movesse da sola, e
come nel tiro all'arco si deve dire che 'Si'
mira e colpisce, cos anche qui all'Io È sosti-
tuito il 'Si', che si serve delle capacit… e
della destrezza acquistata dall'Io con sforzo
consapevole. E anche qui il 'Si' È solo un
appellativo che si d… a qualcosa che non si
puo comprendere ne ra~lundere a volonta
e che si rivela solo a colui che ne ha fatto
esperienza.2
La perfezione nell'arte della spada consiste,
secondo Takuan, in questo: che nessun pen-
siero dell'io e del tu, dell'avversario e della
sua spada, della propria spada e del modo
di usarla, e persino della vita e della morte
turba pi— il cuore. ® Tutto È dunque vuoto:
tu stesso, la spada sguainata e le braccia
che la guidano. Anzi, non c'È pi— nemmeno
il pensiero del vuoto ¯. ® Da tale vuoto
assoluto¯ afferma Takuan ®sboccia mera-
vigliosamente l'azione¯.
Ciò che vale per il tiro con l'arco e il maneg-
gio della spada vale, sotto questo aspetto,
per ogni altra arte. Cos, per accennare a un
altro esempio, la maestria nella pittura al-
l'inchiostro di China si manifesta appunto
in questo: che la mano, padrona assoluta
della tecnica, nell'attimo stesso in cui lo
spirito comincia a dare forma, esegue e ren-
de visibile ciò che esso intravede, senza che
tra l'uno e l'altro ci sia lo spessore di un
capello. La pittura si fa scrittura automati-
ca. E anche qui la regola da dare al pittore
può suonare cos: osserva per dieci anni il
2. Suggerisco un confronto col saggio di Kleist Sul
teatro delle marionette. Da tutt'altro punto di partenza
Kleist Si avvicina in modo sorprendente al tema qui
trattato.
bamb—, fatti bamb— tu stesso, poi dimenti-
ca tutto e - dipingi.
Il maestro di spada È di nuovo spontaneo
come il principiante. Quella tranquilli-
t… dell'animo che ha perduto al principio
dell'insegnamento, l'ha riacquistata alla
fine come tratto permanente del carattere.
Ma a differenza del principiante È riservato,
calmo e modesto, non ha nessun desiderio
di farsi valere. Tra lo stadio del principiante
e quello di maestro stanno appunto lunghi
anni di infaticabile esercizio, ricchi di espe-
rienze. Per effetto dello Zen l'abilit… si È
fatta spirituale, e l'allievo stesso, di supera-
mento in superamento, pi— libero di grado
in grado, È diventato un altro. La spada,
divenuta la sua anima, non È sempre pronta
a uscire dal fodero. La estrae soltanto quan-
do È inevitabile. Può accadere che egli rifiu-
ti la lotta con un avversario indegno, un
uomo rozzo, che fa sfoggio dei suoi muscoli,
accettando con un sorriso l'accusa di vilt…;
ma d'altra parte può accadere che, per l'al-
ta stima che ha dell'avversario, solleciti un
combattimento che a quest'ultimo non por-
ter… che una morte onorevole. Qui si mani-
festano sentimenti che hanno determinato
l'etica del samurai, l'incomparabile 'via del
cavaliere', che porta il nome di Bushido.
Perch‚, pi— in alto di ogni cosa, pi— in alto
della gloria, della vittoria e persino della
vita, il maestro di spada pone ®la spada
de!!a verit… ¯, che ha imparato a conoscere e
che lo giudica.
Come il principiante, il maestro di spada È
senza paura, ma a differenza di questi
diventa ogni giorno meno accessibile a ciò
che spaventa. In lunghi anni d'ininterrotta
meditazione ha appreso che vita e morte
sono in fondo la stessa cosa e appartengo-
no al medesimo piano di destino. Cos non
sa pi— che siano l'angoscia della vita e il
timore della morte. Egli vive- e questo È
caratteristico dello Zen - volentieri nel
mondo, ma È pronto ad abbandonarlo
senza lasciarsi turbare dal pensiero della
morte. Non a caso lo spirito del samurai ha
scelto a purissimo simbolo il delicato fiore
del ciliegio. Come nel raggio del sole
mattutino un petalo di ciliegio si stacca e
scende a terra luminoso e sereno, cos
l'uomo impavido deve potersi staccare dal-
l'esistenza silenziosamente e senza turba-
mento.
Vivere senza il timore della morte non si-
gnifica che in tutte le ore buone si sostenga
di non tremare di fronte alla morte e si sia
sicuri di superare la prova. Chi domina la
vita e la morte, piuttosto, È libero da ogni
genere di timore, al punto che non può pi—
nemmeno capire che cosa sia provare pau-
ra. Chi non conosce per propria esperienza
la forza che d… una seria e costante medita-
zione non può immaginare ciò che essa ren-
de capaci di superare. Il perfetto maestro
rivela a ogni passo, non a parole ma col
comportamento, l'assenza della paura;
glielo si legge in viso e se ne È colpiti. Una
simile imperturbabilit…, che naturalmente
solo pochi raggiungono, È dunque gi… di
per s‚ segno di maestria. Per illustrare
anche questo con una testimonianza, ripor-
terò letteralmente un brano del Hagakure,
che risale alla met… del XVII secolo.
® Yagyu Tajima-no-kami era un grande
maestro nel combattimento con la spada e
insegnava tale arte allo Shogun di quel
tempo, Tokugavva Jyemitsu. Una delle
guardie del corpo dello Shogun venne un
giorno da Tajima-no-kami e lo pregò di
insegnargli a tirare di spada. Il maestro
disse: "Per quel che io vedo, siete voi stesso
un maestro di spada. Prima che iniziamo
una relazione da maestro a allievo, ditemi,
per favore, a che scuola appartenete".
® La guardia del corpo rispose: "A mia
vergogna devo confessarvi che non ho mai
appreso quest'arte".
® "Volete farvi beffe di me? Io sono il
maestro del venerabile Shogun e so che il
mio occhio non m'inganna".
®"Mi duole di recare offesa al vostro
onore, ma non ne ho veramente alcuna
3. ~ lo stesso maestro a cui Takuan ha rivolto il suo
scritto sulla ®comprensione immobile¯.
conoscenza . Questa negazione recisa rese
pensieroso il maestro, che finalmente disse:
"Se voi lo dite, sar… cos. Ma sicuramente
siete maestro in qualche campo, anche se
non riesco a veder bene in quale".
® "S, se voi insistete, voglio raccontarvi
quanto segue. Vi È una cosa in cui posso
pretendere di considerarmi maestro. Quan-
do ero ancora ragazzo mi venne l'idea che
come samurai non dovevo in nessuna circo-
stanza temere la morte, e da allora - sono
passati alcuni anni - mi sono sempre battu-
to con l'idea della morte, e alla fine questo
pensiero ha cessato di preoccuparmi. Ô
forse questo che intendete?".
® "Proprio questo," esclamò Tajima-no-
kami "È proprio questo che intendo. Sono
lieto che il mio giudizio non mi abbia ingan-
nato. Poich‚ l'essere liberato dal pensiero
della morte È ugualmente il segreto ultimo
dell'arte della spada. Ho insegnato a centi-
naia di allievi, per condurli a questa meta,
ma finora nessuno di essi ha raggiunto il
sommo grado nell'arte della spada. Quanto
a voi, non avete pi— bisogno di alcun eserci-
Zio tecnico, siete gi… maestro" ¯.
La sala degli esercizi in cui s'impara l'arte
della spada porta fino da tempi remoti que-
sto nome:
Luogo dell'Illuminazione.
dallo Zen È simile a un lampo che erompa
dalla nuvola della verit… universale. Questa
È presente nella libera mobilit… del suo spiri-
to, e nel 'Si' la incontra come la propria
originaria e ineffabile essenza. Una essenza
che egli riscopre continuamente quale estre-
ma possibilit… di ciò che egli può essere,
mentre la verit… prende per lui - e attraverso
lui per altri- mille forme e figure. Nonostan-
te l'inaudita disciplina a cui si È sottoposto
con umilt… e pazienza, lo Zen non lo penetra
e lo infiamma ancora tanto inesorabilmente
da sostenerlo in ogni manifestazione della
propria vita, cos che la sua esistenza non
conosca che ore buone: perch‚ la perfetta
libert… non È ancora divenuta per lui profon-
dissima necessit….
Se tale meta l'attira irresistibilmente, biso-
gna che egli si rimetta in cammino, il cammi-
no dell'arte senz'arte. Bisogna che osi il salto
alle origini, per vivere della verit… come chi È
diventato tutt'uno con essa. Bisogna che ridi-
venti scolaro, principiante, che superi l'ulti-
mo tratto del cammino, il pi— aspro della via
per cui s'È messo, attraversando nuove meta-
morfosi. Se trionfa di questa impresa temera-
ria~ allora il suo destino si compie ed egli
incontrer… la verit… non pi— riflessa, la verit…
sopra tutte le verit…, l'origine senza forma di
tutte le origini: il Nulla, che pure È il tutto-
ne verr… inghiottito e rinascer… da esso.
Fine.
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