• LO ZEN E IL TIRO CON L'ARCO

    Eugen HerrZgel

    LO ZEN E IL TIRO

    CON L'ARCO

     

    TITOLO ORIGINALE:

    Zen in der Kunst des Bogenschiessens

    Eugen Herrigel (1884-1955) insegnava fi-

    losofia a Heidelberg quando, nel 1924, fu

    invitato a tenere dei corsi all'Universit…

    Imperiale di Sendia, in Giappone. Tor-

    nato, dopo parecchi anni, in Europa, pub-

    blicò nel 1948 questo libretto che ha avuto

    da allora una grande fortuna in molti

    paesi.

    A Daisetz Teitaro Suzuki (1869-1966) si

    deve principalmente l'introduzione dello

    Zen nella cultura occidentale, attraver-

    so numerosi libri, e soprattutto i classici

    Essays in Zen Buddhism.

     

    Eugen HerrZgel

     

    LO ZEN E IL TIRO

    CON L'ARCO

     

    TITOLO ORIGINALE:

    Zen in der Kunst des Bogenschiessens

     

    INTRODUZIONE

    di Daisetz T. Suzuki

     

    Uno degli elementi essenziali nell'esercizio del tiro

    con l'arco e delle altre arti che vengono praticate in

    Giappone e probabilmente anche in altri paesi dell'E-

    stremo Oriente È il fatto che esse non perseguono alcun

    fine pratico e neppure si propongono un piacere pura-

    mente estetico, ma rappresentano un tirocinio della

    coscienza e devono servire ad avvicinarla alla realt…

    ultima. Cos il tiro con l'arco non viene esercitato

    soltanto per colpire il bersaglio, la spada non s'impu-

    gna per abbattere l'avversario, il danzatore non dan-

    za soltanto per eseguire certi movimenti ritmici del

    corpo, ma anzitutto perch‚ la coscienza si accordi

    armoniosamente all'inconscio.

    Per essere veramente maestro nel tiro con l'arco la

    conoscenza tecnica non basta. La tecnica va superata,

    cos che l'appreso diventi un'arte inappresa ', che

    sorge dall'inconscio.

    Nel caso del tiro con l'arco questo significa che il

    tiratore e il bersaglio non sono pi— due cose contra-

    poste, ma una sola realt…. L'arciere non È pi— consa-

    pevole d'essere uno che ha da colpire il bersaglio

    davanti a lui. Ma questa condizione di inconsapevo-

    lezza egli la raggiunge solo se È perfettamente libero e

    distaccato d .s‚, se È tutt'uno con la perfezione della

    sua abilit… tecnica. una cosa tutta diversa da ogni

    progresso che potrebbe esser raggiunto nell'arte del

    tiro con l'arco. Questa cosa diversa, che appartiene a

    tutt'altro ordine di cose, viene chiamata satori.

    intuizione, che però differisce del tutto da ciò che

    generalmente viene chiamato intuizione. Perciò io la

    chiamo intuizione prajna. Prajna può essere defi-

    nita saggezza trascendentale,. Ma anche questa

    espressione non rende tutte le sfumature contenute

    nella parola, perch‚ prajna È un'intuizione che

    afferra immediatamente la totalit… e l'individualit…

    di tutte le cose. un'intuizione che senza alcuna

    riflessione riconosce che lo zero È infinito e l'infinito

    È zero; e questo non s'intende in senso simbolico

    o matematico, ma È un'esperienza per percezione

    diretta.

    Perciò satori, in termini psicologici, È un `oltre' i

    confini dell'Io. Da un punto di vista logico È

    scorgere la sintesi dell'affermazione e della negaziO-

    ne, in termini metafisici È afferrare intuitivamente

    che l'essere È il divenire e il divenire l'essere.

    La diversit… caratteristica tra lo Zen e tutte le altre

    dottrine religiose, filosofiche o mistiche È il fatto che

    lo Zen non esce mai dalla nostra vita quotidiana e

    che, nonostante tutta la gamma delle sue applicaziO-

    ni pratiche e tutta la sua concretezza, ha in s‚

    qualcosa che lo pone al di fuori della contaminazio-

    ne e del tumulto del teatro del mondo.

    Qui tocchiamo il rapporto tra lo Zen e il tiro con

    l'arco o le altre arti come il tirare di spada, il

    disporre fiori, la cerimonia del tÈ, la danza e le arti

    figurative.

    Zen È la coscienza quotidiana , come l'ha definito

    Matsu (morto nel 788). Questa coscienza quoti-

    diana, non È altro che dormire quando si È

    stanchi, mangiare quando si ha fame . Non appena

    noi consideriamo, riflettiamo e formiamo concetti,

     

    l'inconsapevolezza originaria va perduta e sorge un

    pensiero. Non mangiamo pi— quando mangiamo,

    non dormiamo pi— quando dormiamo. La freccia È

    scoccata, ma non vola diritta al bersaglio, e anche il

    bersaglio non È l… dove deve stare.

    L'uomo È un essere pensante, ma le sue grandi opere

    vengono compiute quando non calcola e non pensa.

    Dobbiamo ridiventare come bambini " attraverso

    lunghi anni di esercizio nell'arte di dimenticare se

    stessi. Quando questo È raggiunto, l'uomo pensa

    eppure non pensa. Pensa come la pioggia che cade

    dal cielo; pensa come le onde che corrono sul mare;

    pensa come le stelle che illuminano il cielo notturno;

    come le foglie verdi che germogliano sotto la brezza

    primaverile. Infatti È lui stesso la pioggia, il mare,

    le stelle, il verde. Quando l'uomo ha raggiunto

    questo grado di sviluppo spirituale' È un maestro

    Zen della vita. Non ha bisogno, come il pittore, di

    tela, pennello e colori. Non ha bisogno, come

    l'arciere, di arco e freccia e bersaglio o di altri

    accessori. Ha le sue membra, il suo corpo, la testa e

    cos via. La sua Zita nello Zen si esprime attraverso

    tutti questi `strumenti', che sono importanti come

    forme della sua manifestazione. Le sue mani e i suoi

    piedi sono i pennelli, e il mondo intero È la tela su

    cui dipingere la sua vita per settanta, ottanta,

    novanta anni. Tale quadro si chiama `'storia'.'.

    Hoyen di Gosozan (morto nel 1104) dice: Ecco un

    uomo che trasforma lo spazio vuoto in un foglio di

    carta, le onde del mare in un calamaio e il monte

    Sumeru in un pennello e scrive le cinque sillabe: so

    - shi - sai - rai - i. (Queste cinque sillabe cinesi,

    tradotte letteralmente, significano: "la ragione peZ-

    cui il primo patriarca È venuto dall'Occidente".

    Questo tema rappresenta spesso il contenuto di un

    mondo.* lo stesso che chiedere dell'essenza dello

    Zen. Se si comprende questo, Zen È questo corpo

    stesso. A lui io do il mio zagu (zagu È uno degli

    oggetti che porta con s‚ il monaco Zen. Lo stende

    davanti a s‚ quando s 'inchina al Buddha o al maestro

    e m ' inchino profondamente davanti a lui ". Si potreb-

    be chiedere che cosa significhi questo fantasioso modo

    di scrivere. Perch‚ un uomo che È capace di questo È

    degno della massima venerazione? Un maestro Zen

    risponderebbe forse: mangio quando ho fame, dor--

    mo quando sono stanco,. Ma il lettore penser… che la

    domanda sul tiro con l'arco non abbia ancora trovato

    risposta.

    In questo meraviglioso libro il professor Herrigel, un

    filosofo tedesco che È verculo in Giappone e si È eserci-

    tato nell'arte del tiro con l'arco per comprendere lo

    Zen, d… un illuminato ragguaglio della propria ese-

    rienza. Il suo linguaggio permetter… al lettore occi-

    dentale di anicinare questa esperienza orientale, cos

    singolare e all'apparenza inaccessibile.

     

    Ipswich, Massaehusetts, maggio 1953

     

     

    * mondo: scambio di battute, sotto forma di botta e

    risposta, tradizionale dello Zen (Il'.d. T. ).

     

    Veder collegare lo Zen - qualunque cosa

    s'intenda per esso - con il tiro con l'arco

    deve apparire alla prima un intollerabile

    avvilimento. Anche se per generoso spirito

    di conciliazione si accettasse di considerare

    il tiro con l'arco un'"arte', difficilmente si

    sarebbe disposti a cercare in essa qualcosa

    di diverso da una prestazione chiaramente

    sportiva. Gi si aspetter… dunque di sentir

    parlare di mirabolanti prodezze di maestri

    d'arco giapponesi, i quali hanno il privile-

    gio di potersi richiamare a una veneranda

    tradizione nell'uso dell'arco e delle frecce

    mai definitivamente abbandonata. Sono in-

    fatti soltanto poche generazioni che nell'E-

    stremo Oriente le armi moderne hanno sop-

    piantato, s'intende in caso di guerra, i vec-

    chi strumenti di combattimento; ma l'uso di

    questi non venne mai interrotto e continuò

    a diffondersi, e da allora viene coltivato in

    una cerchia sempre pi— vasta. Gi si atten-

    der… dunque una descrizione del modo par-

    ticolare con cui si pratica poi in Giappone

    il tiro con l'arco come sport nazionale?

    Nulla di pi— errato di tale supposizione. Pr'r

    tiro con l'arco in senso tradizionale, che di

    stima come arte e onora come retaggio, il

    giapponese non intende uno sport, ma, per

    strano che possa apparire, un rito. E cos

    per `arte' del tiro con l'arco egli non intende

     

     

    una abilit… sportiva raggiunta pi— o meno

    compiutamente attraverso un esercizio in

    prevalenza fisico, ma una capacit… acqui-

    stata attraverso esercizi spirituali e che mi-

    ra a colpire un bersaglio spirituale: cos

    dunque che l'arciere, in fondo, prenda di

    mira e forse arrivi a cogliere se stesso.

    Questo suona indubbiamente enigmatico.

    come, si dir…, il tiro con l'arco, un tempo

    esercitato nella lotta per la vita e per la

    morte, non si sarebbe salvato nemmeno co-

    me sport concreto, ma sarebbe divenuto un

    esercizio spirituale? A che scopo allora arco

    e freccia e bersaglio? Non si È rinnegato cos

    l'antica arte virile e il significato chiaro e

    onesto del tiro con l'arco per sostituirlo con

    qualcosa di nebuloso, se non addirittura di

    fantastico?

    Va però considerato che da quando non ha

    pi— bisogno di affermarsi in competizioni

    cruente, lo spirito specifco di quest'arte È

    emerso ancora pi— immediato e convincente

    - non È stato dunque necessario forzarne

    l'interpretazione attribuendolo solo recen-

    temente alla pratica dell'arco e della freccia

    perch‚ È stato sempre legato a essa. Perciò

    non È affatto vero che la tecnica tradizionale

    del tiro con l'arco, da quando questo ha

    perso la sua funzione in combattimento, si

    sia trasformata in un piacevole passatempo,

    ma con ciò abbia perso anche ogni morden-

    te. La `Grande Dottrina' del tiro con l'arco

    ne parla ben diversamente. Per essa il tiro

    con l'arco ora come allora È una faccenda di

    vita e di morte, in quanto È lotta dell'arciere

    con se stesso; e una lotta di questo genere

    non È un misero surrogato, ma il fondamen-

    to di ogni lotta rivolta all'esterno - e sia

    pure come un avversario in carne e ossa.

    in questa lotta dell'arciere con se stesso che

    si rivela veramente la natura segreta di que-

    st'arte, e l'insegnamento che vi conduce

    non le toglie nulla di essenziale quando ri-

    nuncia a quella applicazione pratica richie-

    sta in altri tempi dal combattimento caval-

    leresco.

    L'evoluzione storica offre dunque a chi oggi

    s'impegna in questa arte l'innegabile van-

    taggio di non dover cedere alla tentazione

    di turbare, se non addirittura d'impedire, la

    comprensione della `Grande Dottrina' po-

    nendosi degli scopi pratici, anche se incon-

    fessati a se stesso. Poich‚ accedervi - e in

    questo concordano i maestri d'arco di ogni

    tempo - È concesso soltanto a coloro che

    siano di cuore `puro', libero da secondi fini.

    Se partendo di qui si chiede ai maestri d'ar-

    co come vedano e rappresentino questa lot-

    ta dell'arciere con se stesso, la loro risposta

    apparir… del tutto enigmatica. Perch‚ per

    essi la lotta consiste nel fatto che il tiratore

    mira a se stesso - eppure non a se stesso - e

    ciò facendo forse coglie se stesso - e anche

    qui non se stesso - e cos È insieme miratore

    e bersaglio, colui che colpisce e colui che È

    colpito. Oppure, per servirmi di espressioni

    care a quei maestri, bisogna che l'arciere

    pur operando, diventi un immobile centro.

    E allora avviene la cosa suprema e ultima:

    l'arte diventa senz'arte, il tiro un non-tiro

    un tiro senz'arco n‚ freccia; l'insegnante

    ridiventa allievo, il maestro un principian-

    te, la fine un principio e il principio un

    compimento.

    All'uomo dell'Estremo Oriente queste for-

    mule misteriose sono trasparenti e familiari.

    Noi invece ne restiamo indubbiamente di-

    sorientati. Perciò non possiamo far altro che

    risalire pi— lontano ancora. Da parecchio

    tempo non È un segreto neppure per noi

    europei che le arti giapponesi, per la loro

    forma intrinseca, risalgono a una radice co-

    mune: il buddhismo. Questo vale nella stessa

    misura e nello stesso senso tanto per il tiro

    con l'arco quanto per la pittura con l'in-

    chiostro di china, per l'arte drammatica

    non meno che per la cerimonia del tÈ, l'arte

    di disporre i fiori e la maestria nel maneggio

    della spada. Giò significa in primo luogo

    che esse tutte presuppongono e coltivano

    consapevolmente, ciascuna secondo il suo

    carattere particolare, un atteggiamento spi-

    rituale che nella sua forma pi— elevata È

    proprio del buddhismo e porta i tratti del-

    l'uomo sacerdotale. certo non si tratta qui

    del buddhismo dichiaratamente speculativo,

    il solo che, attraverso i suoi testi apparente-

    mente accessibili, si conosca e addirittura si

    pretenda di comprendere in Europa, ma del

    buddhismo Dhyana, che in Giappone si

    chiama Zen; e questa specie del buddhismo

    non vuol essere speculazione, ma diretta

    esperienza di ciò che, in quanto fondo senza

    fondo dell'essere, non può essere concepito

    intellettualmente, anzi non può essere affer-

    rato e spiegato neppure dopo che se ne È

    fatto esperienza, per quanto precisa e inop-

    pugnabile: lo si conosce non conoscendolo.

    Per amore di queste esperienze decisive il

    buddhismo Zen segue vie che per mezzo di

    una meditazione praticata metodicamente

    devono condurre a scoprire nel pi— profon-

    do dell'anima quell'indicibile senza fondo

    n‚ forma, anzi a divenire tutt'uno con esso.

    Riferito al tiro con l'arco, questo significa

    sia pure con definizione provvisoria e perciò

    discutibile, che gli esercizi spirituali a cui

    solo si deve che la tecnica del tiro con l'arco

    diventi arte, e, se possibile, trovi il suo com-

    pimento come arte senz'arte, sono esercizi

    mistici. Il tiro con l'arco non mira quindi in

    nessun caso a conseguire qualcosa d'ester-

    no, con arco e freccia, ma d'interno e con se

    stesso. Arco e freccia sono per cos dire solo

    un pretesto per qualcosa che potrebbe acca-

    dere anche senza di essi, solo la via verso

    una meta, non la meta stessa, solo supporti

    per il salto ultimo e decisivo.

    Di fronte a questi dati di fatto e nel deside-

    rio di approfondirli, niente sarebbe pi— au-

    gurabile che potersi riferire a esposizioni di

    buddhisti Zen. E in verit… non ne mancano.

    Cos, ad esempio, D.T. Suzuki nei suoi Es-

    says on Zen Buddhism [Saggi sul buddhismo

    Zen] ha potuto dimostrare che la cultura

    giapponese e lo Zen sono legati intimamen-

    te, cos che le arti giapponesi, l'atteggia-

    mento spirituale dei samurai, lo stile di vita,

    la vita morale, estetica e in certa misura

    perfino intellettuale dei giapponesi devono

    il loro carattere particolare a questo fonda-

    mento Zen e perciò sfuggono alla perfetta

    comprensione di chi non ha familiarit… con

    esso.

    Gli importantissimi scritti di Suzuki, come

    pure le ricerche di altri studiosi giapponesi,

    hanno destato un giustificato interesse. Og-

    gi si riconosce senz'altro che il buddhismo

    Dhyana, nato in India e giunto, dopo pro-

    fondi mutamenti, alla sua piena fioritura in

    Cina, accolto infine in Giappone e coltivato

    fino ad oggi in una tradizione sempre viva-

    che questo Zen, dunque, aprirebbe la via a

    modi finora insospettati dell'esistenza uma-

    na, la cui conoscenza avrebbe un valore

    inestimabile.

    Malgrado tutte le fatiche dei divulgatori

    dello Zen, la conoscenza che noi europei

    abbiamo potuto acquistarne finora È indub-

    biamente insufficiente. Quasi che esso si

    opponesse a un maggiore approfondim nto,

    il tentativo di indovinarne, di penetrarne

    ~- 1 essenza, cozza dopo pochi passi contro

    barriere insormontabili. Avvolto da tenebre

    impenetrabili, lo Zen appare il pi— singola-

    re degli enigmi che lo spirito dell'Estremo

    Oriente ci abbia proposto: insolubile eppu-

    re di irresistibile fascino.

    La ragione di questa dolorosa difficolt… di

    accesso va ricercata in qualche modo nello

    stile delle esposizioni che lo Zen ci ha offer-

    to finora. Nessuna persona ragionevole pre-

    tender… che il seguace dello Zen cerchi an-

    che solo di parafrasare le esperienze che lo

    hanno liberato e trasformato, l'inconcepibi-

    le e indicibile 'verit…' di cui ormai vive. Da

    questo punto di vista lo Zen È affine alla

    pura mistica contemplativa. Chi non ha

    avuto esperienze mistiche, checch‚ egli fac-

    cia, rester… fuori. Questa legge, cui obbedi-

    sce ogni mistica genuina, non ammette ec-

    cezioni. N‚ la contraddice il fatto che vi sia

    una profusione di testi Zen ritenuti sacri

    Ma questi, per loro natura, rivelano il loro

    senso vivificante solo a colui a cui sono state

    concesse tutte le esperienze decisive e perciò

    È in grado di trarre da quei testi la conferma

    dI Ciò che, indipendentemente da essi, gi…

    possiede, gi… È. Di fronte a chi non ha vissu-

    to quelle esperienze, essi invece non solo

     

    restano muti - come potrebbe egli essere in

    grado di leggere per cos dire tra le righe?-

     

     

    ma io conducono inesorzbilmente in un nl-

    sperato labirinto spirituale, anche se egli vi

    si avvicina con prudente cautela e pieno

    abbandono. Lo Zen, come ogni mistica,

    può esser compreso solo da chi È egli stesso

    un mistico e perciò non cade nella tentazio-

    ne di carpire per altre vie ciò che l'esperien-

    za mistica gli nega.

    Ma l'uomo che lo Zen ha trasformato e

    purificato col 'fuoco della verit…' conduce

    un'esistenza troppo convincente perch‚

    passi inavvertita. Non È dunque presunzio-

    ne se colui che, spinto da una misteriosa

    affinit… spirituale, vorrebbe trovare accesso

    a quella forza senza nome che opera cose

    cos grandi - chi È solo curioso non ha dirit-

    to di avanzare pretese - s'attende che in

    cambio il seguace dello Zen gli descriva

    almeno la via che conduce alla meta. Nes-

    sun mistico e quindi anche nessun seguace

    dello Zen È, gi… al primo passo, colui che

    può divenire quando abbia raggiunto il suo

    compimento. Quante cose deve superare e

    lasciare dietro di s‚ per incontrare final-

    mente la verit…! Quante volte, sul suo cam-

    mino, lo tormenta il sentimento sconsolato

    di cercare l'impossibile! Eppure viene il

    giorno che questo impossibile È diventato

    possibile, anzi persino ovvio. Non È dunque

    lecito sperare che l'accurata descrizione di

    tale lungo e faticoso cammino permetta al-

    meno di chiedersi: voglio tentarlo?

    Ma tali descrizioni della via e delle sue

    varie stazioni mancano quasi totalment‚

    nella letteratura dello Zen. Questo dipende

    per un verso dal fatto che proprio il seguace

    dello Zen si rifiuta decisamente di dare, per

    cos dire, istruzioni per la vita beata. Egli sa

    per propria esperienza che nessuno può

    mtraprendere questa via senza la guida

    scrupolosa di un esperto maestro, n‚ con-

    durla a termine senza il suo aiuto. Non

    meno determinante, d'altra parte, È il fatto

    che le sue esperienze, i suoi superamenti, le

    sue trasformazioni, fino a che sono ancora

    SUOi, dovranno continuamente venir supe-

    rati e trasformati, fino a che sia distrutto

    tutto ciò che È 'suo'. Perch‚ soltanto cos si

    acquista una base per esperienze che, in

    quanto 'verit… universale', lo risveglieranno

    a una vita che non È pi— la sua vita persona-

    le e quotidiana. Egli vive, ma non È pi— lui

    che vive.

    Da ciò si comprender… perch‚ il seguace

    dello Zen eviti di parlare di s‚ e del suo

    cammino spirituale. Non perch‚ lo ritenga

    loquacit… immodesta, ma perch‚ lo conside-

    ra addirittura un tradimento verso lo Zen.

    Gi… soltanto decidersi a dire qualcosa sullo

    Zen gli impone un severo esame. Il ricordo

    di uno dei pi— grandi maestri, che alla do-

    manda che cosa fosse lo Zen non si mosse e

    non parlò come se non l'avesse neppure

     

    udita, lo mette in guardia. E lui dovrebbe

    cedere alla tentazione di render conto di s‚,

    di ciò che ha gettato via e che non rimpian-

    ge?

    Stando cos le cose, sarebbe ingiustificabile

    se volessi continuare a offrire formule para-

    dossali e tentassi di cavarmela con parole

    grosse. Quando invece il mio proposito È

    proprio di far luce sulla natura dello Zen

    mostrando in che modo si manifesti in una

    delle arti che portano la sua impronta. Tale

    luce non È certo ancora illuminazione nel

    significato fondamentale che questa parola

    ha per lo Zen, ma almeno indica che ci deve

    essere qualcosa che si cela allo sguardo co-

    me dietro a impenetrabili pareti di nebbia

    e, come il baleno, annuncia il lontano fulmi-

    ne. L'arte del tiro con l'arco, cos intesa,

    rappresenta quasi una propedeutica allo

    Zen e permette attraverso atti ancora tutti

    tangibili di chiarire degli accadimenti che

    di per s‚ non sono pi— comprensibili. Di

    fatto, sarebbe senz'altro possibile tracciare

    una via verso la via dello Zen a partire da

    ciascuna delle arti che abbiamo citato.

    Ma penso che il modo pi— efficace per rag-

    giungere il mio scopo sia quello di descrive-

    re la via che ha da percorrere chi voglia

    apprendere l'arte del tiro con l'arco. E pi—

    precisamente voglio tentare di raccontare

    dell'insegnamento, durato quasi sei anni,

    che ricevetti da uno dei pi— grandi maestri di

    quest'arte durante il mio soggiorno in Giap-

    pone. Sono dunque esperienze personali

    che legittimano questo mio tentativo. Ma

    per essere in qualche modo compreso- ch‚

    gi… tale introduzione allo Zen cela in s‚

    non pochi enigmi - non mi resta che

    ricordare nei loro particolari tutte le resi-

    stenze che dovetti superare e tutte le

    inibizioni da cui dovetti liberarmi prima di

    riuscire a penetrare nello spirito della

    Grande Dottrina. Parlerò dunque di me

    stesso solo perch‚ non vedo altra via per

    raggiungere lo scopo che mi sono proposto.

    Per la stessa ragione mi limiterò a descri-

    vere solo l'essenziale, per dare a esso il

    massimo rilievo. Rinuncio consapevolmen-

    te a rappresentare la cornice entro la qua-

    le ebbe luogo l'insegnamento, a rievocare

    scene che mi sono rimaste impresse nella

    memoria, e anzitutto a tracciare un ritratto

    del Maestro - per quanto allettante possa

    essere tutto questo. Si tratter… sempre e

    soltanto dell'arte del tiro con l'arco, che mi

    sembra talvolta ancor pi— difficile descrive-

    re che non apprendere, e la descrizione ci

    porter… fino a quel punto in cui si comin-

    ciano a intravedere quei lontanissimi oriz-

    zonti dietro ai quali respira lo Zen.

     

     

     

    E necessario che io spieghi perche mi sono

    rivolto allo Zen e perch‚ a tale fine abbia

    voluto imparare proprio l'arte del tiro con

    l'arco. Gi… da studente, quasi obbedendo a

    un impulso segreto, mi ero occupato a fon-

    do di mistica, nonostante che lo spirito del-

    l'epoca fosse poco portato a tali interessi.

    Malgrado i miei sforzi mi resi sempre pi—

    conto che non potevo accostarmi agli scritti

    mistici se non dal di fuori e che sapevo

    circoscrivere ciò che si chiama il fenomeno

    mistico senza però riuscire a varcare il cer-

    chio che circonda il mistero come di un alto

    muro. Anche nella vasta letteratura sulla

    mistica non trovai ciò che in realt… cercavo,

    e sempre pi— deluso e scoraggiato dovetti

    riconoscere che soltanto l'uomo veramente

    distaccato può comprendere ciò che s'inten-

    de per 'distacco', e solo il contemplativo,

    che si È sciolto completamente dal proprio

    io, È pronto all'unione con il 'Dio sopradivi-

    no'. Avevo dunque riconosciuto che non vi

    È n‚ vi può essere altra via alla mistica se

    non quella della propria esperienza e soffe-

    renza e che senza tale premessa tutto quel

    che se ne può dire non sono che parole

    vuote.

    Ma - come si diventa un mistico? Come si

    raggiunge lo stato di distacco, quello reale,

    non immaginario? Vi È ancora una via che

    vi conduce, anche per colui che l'abisso dei

    secoli separa dai grandi maestri? Per l'uomo

    moderno, che cresce in tutt'altre condizio-

    ni? Ma in nessun luogo trovai risposte che

    mi appagassero almeno in parte, anche se si

    parlava di gradi e di stazioni di una via che

    prometteva di condurre alla meta. Ma per

    percorrerla mancavano precise indicazioni

    di metodo, che permettessero di sostituire il

    maestro almeno per un certo tratto. Ma

    ammesso che ci fossero, tali indicazioni sa-

    rebbero sufficienti? O non preparano sol-

    tanto, nel migliore dei casi, ad accogliere

    ciò che nemmeno il miglior metodo ha da

    offrire, cos che si può dire che l'esperienza

    mistica non può essere forzata da nessuna

    disposizione umana? Qualsiasi cosa facessi,

    mi ritrovavo davanti a porte sbarrate, ep-

    pure non potevo fare a meno ogni volta di

    scuoterle. Ma la nostalgia restava, e quan-

    do questa fu esausta, la nostalgia

    nostalgia.

    Quando un giorno - intanto ero

    libero docente - mi fu proposto di

    storia della filosofia all'Universit… imperiale

    del Tohoku, accolsi con gioia la possibilit…

    di conoscere il paese e il popolo giapponesi

    gi… soltanto per la prospettiva di entrare in

    rapporto col buddhismo e cos con la sua

    mistica e la sua pratica di meditazione.

    Infatti ne avevo sentito parlare tanto da

    sapere che vi erano una tradizione gelosa-

    mente custodita e una pratica viva dello

    Zen, un'arte d'insegnare provata da secoli

    e, cosa pi— importante di tutte, maestri Zen

    con una prodigiosa esperienza nella guida

    d'anime

    Non appena mi fui un po' orientato nel

    nuovo ambiente, cercai di realizzare il mio

    desiderio. Subito mi scontrai in imbarazzati

    tentativi di dissuadermi. Fino allora, mi

    dissero, nessun europeo si era occupato se-

    riamente dello Zen, e poich‚ esso rifiuta

    anche la minima ombra di 'dottrina', non respinse

    potevo aspettarmi che mi soddisfacesse un'altra

    'teoricamente'. Ho dovuto perdere molte gnare a

    ore per riuscire a far comprendere perch‚ io I Peseim:~

    volessi dedicarmi proprio allo Zen non spe-

    culativo. Mi avvisarono allora che un euro-

    peo non aveva alcuna probabilit… di pene-

    trare in quel campo, il pi— estraneo per lui,

    dello spirito nipponico- a meno che comin-

    ciasse coll'imparare una delle arti che han-

    no rapporto con lo Zen.

    L'idea di dover passare per una specie di

    scuola preparatoria non mi scoraggiò. Ero

    pronto a ogni concessione purch‚ mi sorri-

    desse la speranza di avvicinarmi passo pas-

    so allo Zen, e anche una faticosa via traver-

    sa mi sembrava preferibile a una via chiusa.

    A quale delle arti indicatemi a quello scopo

    dedicarmi? Mia moglie si decise senza mol-

    to esitare per l'arte di disporre i fiori e per la

    pittura all'inchiostro di China, mentre io

    ero pi— attirato dal tiro con l'arco, nella

    supposizione che si dimostrò poi errata,

    e la mia esperienza nel tiro con l'arco

    e col fucile mi potesse essere utile.

    Pregai uno dei miei colleghi, il professore di

    legge Sozo Komachiya, che gi… per due de-

    cenni aveva preso lezioni di tiro con l'arco e

    a buon diritto era considerato il miglior

    conoscitore di quest'arte all'Universit…, di

    propormi come allievo al suo insegnante, il

    celebre Maestro Kenzo Awa. Il Maestro

    - dapprima la mia preghiera: gi…

    volta si era lasciato indurre a inse-

    uno straniero e la prova era stata

    . Non si sentiva perciò disposto a

    imporsi una seconda volta faticose conces-

    sioni perch‚ lo spirito particolare di quel-

    l'arte non disturbasse l'allievo. Soltanto

    quando gli assicurai solennemente che un

    maestro che prendeva tanto sul serio il suo

    compito avrebbe potuto trattarmi come il

    suo pi— giovane allievo, perch‚ volevo ap-

    prendere quell'arte non per divertimento

    ma per amore della 'Grande Dottrina', mi

    accettò come allievo, insieme a mia moglie;

    ch‚ da tempi antichissimi in Giappone È

    uso che anche le donne imparino quell'arte,

    in cui anche la moglie e le due figlie del

    Maestro si esercitavano assiduamente.

    E cos ebbe inizio quell'insegnamento serio

    e severo, a cui, con nostra grande gioia, il

    signor Komachiya, che s'era impegnato con

     

    tanta ostinazione e s'era quasi reso garante

    per noi, partecipava come interprete. Ebbi

     

    inoltre l'opportunit… di assistere come udi-

    tore alle lezioni di disposizione dei fiori e di

    pittura che prendeva mia moglie, nella spe-

    ranza che, confrontando e integrando le no-

    stre esperienze, sarei riuscito ad ampliare le

    basi della mia comprensione.

     

     

    Che la via dell'arte senz'arte non sia facile,

    ce ne rendemmo conto subito alla prima

    lezione. Il Maestro ci mostrò anzitutto degli

    archi giapponesi e ci spiegò come la loro

    straordinaria capacit… di tensione fosse do-

    vuta tanto alla loro particolare costruzione

    quanto al materiale prevalentemente usato,

    cioÈ il bamb—. Ma molto pi— importante

    ancora gli sembrò richiamare la nostra at-

    tenzione sulla nobilissima forma che l'arco,

    lungo circa due metri, assume non appena,

    tesa la corda, È pronto per l'uso, forma che

    tanto pi— s'accentua quanto pi— si tende la

    corda. Se l'arco È teso al massimo, allora

    esso racchiude in s‚ il 'Tutto', aggiunse il

    Maestro, ed ecco perch‚ È cos importan-

    te imparare a tenderlo nel modo giusto.

    Afferrò quindi il migliore e pi— forte dei suoi

    archi e in atteggiamento molto solenne, tesa

    leggermente la corda, la fece schioccare pi—

    volte. Si produce COS un rumore, fatto al

    tempo stesso di un colpo secco e di un ron-

    zio profondo, e che non si dimentica pi—

    quando lo si È udito anche solo poche volte;

    tanto È singolare, tanto irresistibilmente af-

    ferra il cuore. Sin dai tempi antichissimi gli

    si attribuisce il misterioso potere di scongiu-

    rare gli spiriti maligni; e capisco benissimo

    come questa credenza sia radicata nel cuore

    del popolo giapponese. Dopo questo signifi-

    cativo atto preliminare di purificazione e di

    consacrazione, il Maestro ci invitò a osser-

    varlo attentamente. Incoccò una freccia, te-

    se l'arco al punto che non credevo potesse

    sostenere l'impegno di racchiudere in s‚ il

    Tutto, e finalmente tirò. Tutto questo appa-

    riva non solo bellissimo ma anche molto

    agevole. Poi mi ordinò: Faccia altrettanto,

    ma badi che il tiro con l'arco non È fatto per

    rafforzare i muscoli. Per tirare la corda lei

    non deve impiegare l'intera forza del suo

    corpo, ma deve imparare a lasciare alle sue

    mani di compiere tutto il lavoro, mentre i

    muscoli delle braccia e delle spalle restano

    rilassati e non sembrano partecipare all'a-

    zione. Solo quando sar… capace di questo

    soddisfer… a una delle condizioni per cui il

    tendere l'arco e lo scoccare la freccia diven-

    tano 'spirituali'. Dopo queste parole afferrò

    le mie mani e fece loro percorrere lentamen-

    te le varie fasi del movimento che da allora

    in poi avrebbero dovuto compiere perche

    mi ci abituassi fisicamente. Gi… al primo

    tentativo con un arco da esercizi di media

    potenza, mi accorsi che per tenderlo dovevo

    impiegare forza, e una forza considerevole.

    A ciò si aggiunga che l'arco giapponese non

    viene tenuto all'altezza delle spalle come

    quello europeo da sport, cos che ci si può

    per cos dire spingere dentro. Invece, non

    appena si È incoccata la freccia, esso viene

    alzato con le braccia quasi distese, in modo

    che le mani del tiratore si trovano al di

    sopra della sua testa. Cos non resta altro

    che tirarle uniformemente in direzioni op-

    poste, a destra e a sinistra, e quanto pi— esse

    si allontanano l'una dall'altra, tanto pi— si

    abbassano, descrivendo curve, fino a che la

    mano sinistra, che tiene l'arco, si trova a

    braccio teso all'altezza degli occhi, e la ma-

    no destra, che tiene la corda col braccio

    piegato, si trova sopra l'articolazione della

    spalla, in modo che la freccia, lunga quasi

    un metro, sporge solo di un poco oltre il

    margine esterno dell'arco - tanto grande È

    la sua apertura. In tale posizione l'arciere

    deve restare per un certo tempo prima di far

    partire la freccia. Per il dispendio di forza

    richiesto da questo modo inconsueto di ten-

    dere e di impugnare l'arco, dopo pochi mo-

    menti le mie mani incominciavano a trema-

    re e il respiro si faceva sempre pi— grosso.

    Questo non cambiò neppure nel corso delle

    una faccenda difficile e l'esercizio non riu-

    sciva a diventare 'spirituale'. Per consolar-

    mi mi immaginai che ci dovesse essere un

    accorgimento che il Maestro per qualche

    ragione non voleva svelare, e mi feci un

    punto d'onore di scoprirlo.

    Ostinato nel mio proposito continuai a eser-

    citarmi. Il Maestro seguiva attentamente i

    miei sforzi, correggeva con calma la mia

    posizione forzata, lodava il mio zelo, biasi-

    -mava il mio dispendio di forza, ma mi la-

    sciava fare. Mi toccava però continuamente

    nel mio punto debole gridandomi in tede-

    sco, mentre tendevo l'arco, la parola 'rilas-

    sato', che intanto aveva imparato- senza

    perdere mai n‚ la pazienza n‚ la cortesia.

    Ma venne un giorno in cui fui io che persi la

    pazienza e, facendomi forza, confessai che

    non ero capace di tendere l'arco nel modo

    prescritto.

    ®Lei non ci riesce¯ mi spiegò il Maestro

    ®perch‚ non respira bene. Dopo l'inspira-

    zione spinga lentamente in gi— il fiato in

    modo che la parete addominale si tenda

    moderatamente, e ve lo trattenga per un

    poco. Poi espiri il pi— lentamente e regolar-

    mente possibile, e dopo una breve pausa

    riprenda rapidamente fiato - e cos via in

    un alternarsi di espirazione e di inspirazio-

    ne con un ritmo che a poco a poco si stabi-

    lira da se. Se l'eseguir… nel modo giusto,

    sentir… che il tiro con l'arco le diventera

    ogni giorno pi— facile. Con questa respira-

    zione infatti lei non solo scoprir… l'origine di

    ogni forza spirituale, ma otterr… che quella

    sorgente scorra sempre pi— abbondante e si

    diffonda attraverso le sue membra tanto pi—

    facilmente quanto pi— lei sar… rilassato ¯. E,

    come per provarmelo, tese il suo forte arco e

    mi invitò a mettermi dietro di lui e a tastare

    i muscoli delle sue braccia. E infatti erano

    cos distesi come se non dovessero compiere

    alcun lavoro.

    Ci esercitammo nella nuova respirazione,

    dapprima senz'arco n‚ freccia, fino a che

    non ci fu diventata abituale. Il leggero stor-

    dimento che si prova all'inizio fu presto

    superato. Alla espirazione il pi— possibile

    lenta e insieme continua e regolare, e che

    quindi gradatamente si estingue, il Maestro

    attribuiva cos grande importanza che per

    esercizio e controllo la faceva accompagna-

    re da un leggero sussurro. E soltanto quan-

    do con l'ultimo residuo d'aria s'era spento

    anche il suono si poteva riprendere fiato.

    L'inspirazione, disse una volta il Maestro,

    lega e collega, mentre si trattiene il respiro

    avviene tutto ciò che È giusto, e l'espirazio-

    ne scioglie e porta a compimento, superan-

    do ogni limitazione. Ma questo allora non

    lo potevamo capire.

    Subito dopo il Maestro passò a mettere la

    respirazione, che non si pratica per se stes-

    sa, in rapporto col tiro con l'arco il proces-

    so unitario del tendere e del tirare fu scom-

    posto in pi— parti: afferrare l'arco--incocca-

    re la freccia - sollevare l'arco - tenderlo e

    restare nella massima tensione--tirare. Cia-

    scuna di esse veniva avviata con l'inspira-

    zione, sostenuta con la ritenzione del fiato e

    terminata con l'espirazione. Avveniva allo-

    ra che la respirazione s'inseriva natural-

    mente nel processo e non solo accentuava

    notevolmente le singole posizioni e i singoli

    atti, ma anche li intrecciava gli uni agli altri

    in un concatenamento ritmico- a seconda

    della capacit… di respirazione di ciascuno

    Nonostante tale scomposizione in parti, ii

    processo appariva come un accadimento

    che vive tutto di s‚ e in s‚ e che non si può

    in nessun modo paragonare a un esercizio

    ginnico, al quale si possono aggiungere o

    togliere delle parti senza perciò distrugger-

    ne il senso e il carattere.

    Non posso ripensare a quei giorni senza

    ricordarmi quanto all'inizio mi fu difficile

    lasciare che la respirazione avesse il suo

    corso e il suo effetto. Respiravo s in modo

    tecnicamente corretto, ma quando nel ten-

    dere l'arco stavo attento a tener rilassati i

    muscoli delle braccia e delle spalle, mi si

    irrigidivano involontariamente quelli delle

    gambe, come se avessi bisogno di un punto

    d'appoggio solido e sicuro e, simile a Anteo,

     

    dovessi suggere tutta la forza dal suolo. Al

     

     

    Maestro spesso non restava altro cne mter-

    venire con la rapidit… di un lampo e preme-

    re dolorosamente l'uno o l'altro muscolo

    della gamba in un punto particolarmente

    sensibile. Un giorno che, per scusarmi, gli

    facevo osservare che io mi sforzavo coscien-

    ziosamente di restare rilassato, egli replicò:

    ®Ô appunto perch‚ lei si sforza, perch‚ ci

    pensa. Si concentri esclusivamente sulla re-

    spirazione, come se non avesse altro da

    fare ¯. Ci volle tuttavia parecchio tempo an-

    cora prima che riuscissi a eseguire ciò che il

    Maestro esigeva. Ma ci riuscii. Imparai a

    perdermi nella respirazione con tanto ab-

    bandono che talvolta avevo la sensazione di

    non essere io a respirare ma--per quanto

    possa suonare strano - di essere respirato. E

    anche se poi in momenti di consapevolezza

    e di riflessione mi ribellavo a questa idea

    stravagante, non potei pi— dubitare che la

    respirazione mantenesse ciò che il Maestro

    aveva promesso. Di quando in quando, e

    col passare del tempo sempre pi— spesso,

    riuscivo a tendere l'arco e a mantenerlo teso

    sino alla fine con il corpo perfettamente

    rilassato, senza saper dire come ciò avvenis-

    se. La differenza qualitativa tra i po-

    chi tentativi riusciti e i molti ~ ancora

    fallivano era cos evidente che fui_p ad

    ammettere che finalmente compivo ciò

    che significasse tendere 'spiritualmente'

    l'arco.

     

    ( Questo era dunque il segreto: non un accor-

    gimento tecnico che invano avevo cercato di

    scoprire, ma una respirazione che liberava e

    apriva nuove possibilit…. Non parlo alla leg-

    gera. So bene come si È tentati, in casi simi-

    li, di cedere a una influenza potente e, pri-

    gionieri della propria illusione, sopravalu-

    tare la portata di un'esperienza soltanto

    perch‚ È cos insolita. Ma, a dispetto di ogni

    rifiuto mentale e di ogni prudente riserva, il

    successo ottenuto con la nuova respirazione

    - col tempo riuscii a tendere senza contrar-

    mi persino il forte arco del Maestro - parla-

    va un linguaggio anche troppo chiaro.

    Un giorno, in un esauriente colloquio con il

    signor Komachiya, gli chiesi perch‚ il Mae-

    stro si fosse limitato per tanto tempo a osser-

    vare i miei vani sforzi per tendere l'arco

    'spiritualmente'; perch‚ insomma non aves-

    se fin dal principio insistito sulla giusta re-

    spirazione.

    ® Un grande maestro ¯ rispose ® deve essere

    allo stesso tempo anche un grande educato-

    re, da noi l'una cosa non va senza l'altra. Se

    avesse iniziato l'insegnamento con esercizi

    di respirazione, non avrebbe mai potuto

    convincerla che lei deve a essi qualcosa di

    decisivo. I suoi tentativi dovevano prima

    naufragare perch‚ lei fosse pronto ad affer-

    rare il salvagente che lui le offriva. Mi cre-

    da, lo so per mia propria esperienza, il

    Maestro conosce lei e ciascuno dei suoi al-

    lievi meglio di quanto noi conosciamo nol

    stessi. Egli legge nelle anime dei suoi allievi

    pi— di quanto essi vorrebbero ammettere ¯.

     

     

    Riuscire dopo un anno a tendere l'arco 'spi-

    ritualmente', cioÈ con potenza eppure senza

    fatica, non È certo un risultato sconvolgen-

    te. Eppure me ne accontentai: cominciavo

    infatti a comprendere perch‚ si chiami 'arte

    mite' quel modo di autodifesa elevata a si-

    stema che abbatte l'avversario col cedere

    inaspettatamente, elasticamente e senza di-

    spendio di forze al suo attacco impetuoso,

    ottenendo cos che la sua forza si rivolga

    contro lui stesso. Da tempi immemorabili

    essa ha per archetipo l'acqua, che sempre

    cede e mai recede, cos che Lao-tzu può dire

    saggiamente che l„giusta_ via È simile all'ac-

    qua, che adeguandosi a t£tto, a t£tfo È

    adatta. A ciò si aggiunga che nella scuola

    circolava un detto del Maestro: chi se la

    prende facile all'inizio se la trover… pi— difi-

    cile poi. Per me l'inizio era stato molto diffi-

    cile. Non potevo dunque guardare con fidu-

    cia a ciò che avevo davanti e di cui oscura-

    mente intuivo la difficolt…?

    Poi fu la volta del tiro. Fino allora poteva-

    mo farlo alla ventura. Era una cosa al mar-

    gine degli esercizi, per cos dire tra parente-

    si. E che cosa avvenisse della freccia era

    ancora pi— indifferente. Bastava che pene-

    trasse nel disco di paglia compressa, che

    teneva luogo di bersaglio e di paracolpi in-

    sieme, non si chiedeva altro. Colpirlo non

    era un'impresa perch‚ ci sta di fronte a una

    distanza di tutt'al pi— due metri.

    Fino allora m'ero dunque limitato a lasciar

    andare la corda quando mi era diventato

    impossibile rimanere pi— a lungo nella mas-

    sima tensione, quando sentivo che dovevo

    cedere se non volevo che le mani tese in

    direzioni opposte si riavvicinassero. Con

    tutto ciò, la tensione non È dolorosa. Un

    guanto col pollice rinforzato e bene imbotti-

    to evita che a lungo andare la pressione

    della corda diventi molesta e perciò non

    abbrevi prima del tempo la durata della

    massima tensione. Quando si tende l'arco,

    si pone il pollice intorno alla corda, al di

    sotto della freccia, e lo si ripiega, poi gli si

    sovrappongono l'indice, il medio e l'anula-

    re, che lo serrano strettamente, dando allo

    stesso tempo un sicuro sostegno alla freccia.

    Scoccare la freccia significa aprire le dita

    che circondano il pollice, lasciandolo libero.

    La forte trazione della corda lo strappa alla

    sua posizione, lo stende, la corda vibra, la

    freccia scocca. Fino allora, quando tiravo,

     

     

    questo non avvemva mal senza una lorte

    scossa, che si comunicava sensibilmente e

    visibilmente a tutto il corpo e si trasmette-

    va anche all'arco e alla freccia. Ô naturale

    che in questo modo non ne risultasse un

    colpo liscio e soprattutto sicuro. Necessa-

    riamente veniva smosso e deviato.

    ® Tutto ciò che lei ha imparato finora ¯

    osservò un giorno il Maestro, quando non

    ebbe pi— nulla da ridire sul modo con cui

    tendevo l'arco restando rilassato ® È sta-

    to solo preparazione al tiro. Ci trovia-

    mo quindi davanti a un compito nuovo e

    particolarmente difficile, e allo stesso tem-

    po a un nuovo gradino dell'arte del tiro

    con l'arco¯. Dette queste parole, afferrò il

    suo arco, lo tese e tirò. E per la prima

    volta, messo sull'avviso, notai che la mano

    destra del Maestro, improvvisamente aper-

    ta e liberata dalla tensione, scattava s

    all'indietro, ma senza provocare la minima

    scossa del corpo. Il braccio destro, che

    prima del colpo formava un angolo acuto,

    si apriva, È vero, di scatto, ma si distende-

    va poi dolcemente. L'inevitabile scossa

    veniva dunque sostenuta e controbilancia-

    ta elasticamente.

    Se la potenza del colpo non si tradisse

    nello schiocco della corda e nella forza di

    penetrazione della freccia, il processo stes-

    so del tiro non la rivelerebbe mai. Nel

    Maestro almeno l'atto dello scoccare la

    reccla apparlva sempllce e senza pretese

    come fosse un gioco.

    L agevolezza con cui si esegue un atto di

    forza È senza dubbio uno spettacolo alla cui

    bellezza l'uomo dell'Estremo Oriente È par-

    ticolarmente sensibile e grato. A me invece

    pareva -- n‚ al livello a cui ero arrivato

    poteva essere altrimenti--pi— importante il

    fatto che dall'agevolezza del tiro dipendesse

    l'esattezza del colpo. Dall'esperienza che

    avevo del tiro col fucile sapevo le conse-

    guenze del pi— piccolo movimento che fac-

    cia deviare anche minimamente dalla linea

    di mira. Tutto ciò che avevo imparato e

    raggiunto lo comprendevo soltanto da que-

    sto punto di vista: tendere l'arco, restare

    nella massima tensione, scoccare il colpo,

    sostenere la scossa all'indietro, e sempre

    con animo e corpo disteso- tutto questo

    non era forse al servizio della precisione del

    tiro e di conseguenza dello scopo per cui

    s'impara con tanta fatica e pazienza il tiro

    con l'arco? Perch‚ allora il Maestro ne ave-

    va parlato come se si trattasse di un proce-

    dimento che superava di molto tutto ciò in

    cui ci eravamo esercitati e che ci era noto?

    Comunque mi esercitavo con zelo e diligen-

    za secondo le istruzioni del Maestro. Eppu-

    re ogni sforzo era vano. Spesso mi sembrava

    di aver tirato meglio prima, quando ancora

    senza prevenzioni facevo partire il colpo al-

    la cieca. Anzitutto osservai che non mi riu-

     

     

    sciva di aprire senza sforzo la mano destra

    a cominciare dalle dita premute sopra il

    pollice. Questo provocava una scossa nel

    momento in cui tiravo e facevo deviare il

    colpo. E ancora meno ero capace di sostene-

    re elasticamente la scossa della mano im-

    provvisamente libera. Il Maestro continua-

    va a mostrarmi il giusto modo di tirare,

    senza scomporsi; senza stancarmi io cerca-

    vo d'imitarlo - col solo risultato di diventa-

    re ancora pi— malsicuro. Mi sembrava di

    procedere come il millepiedi che non fu pi—

    capace di camminare dopo che si fu lambic-

    cato il cervello per stabilire in quale ordine

    muoveva i piedi.

    Il Maestro era meno spaventato di me del

    mio insuccesso. Sapeva per esperienza che

    si doveva passare da quel punto? ® Non

    pensi a quello che deve fare, non rifletta

    sull'esecuzione! ¯ mi gridava. ® Il colpo fila

    liscio solo se sorprende il tiratore stesso.

    Deve essere come se la corda tagliasse im-

    provvisamente il pollice che la trattiene. Lei

    non deve dunque aprire la mano destra con

    intenzione! ¯.

    Seguirono settimane e mesi di infruttuoso

    esercizio. Dal modo in cui tirava il Maestro

    potevo ogni volta trarre il modello, scorgere

    la natura del tiro giusto. Ma non me ne

    riusciva uno. Se io, in vana attesa del colpo,

    cedevo alla tensione perch‚ incominciava a

    farsi insopportabile, le mie mani si avvici-

    navano lentamente l'una all'altra e il COlpO

    non partiva. Se resistevo ostinatamente fino

    a perdere il fiato, ero obbligato a chiamare

    in aiuto i muscoli delle braccia e delle spal-

    le. Restavo, È vero, immobile - come una

    statua, diceva ironicamente il Maestro - ma

    contratto, e il rilassamento era scomparso.

    Fosse caso, fosse voluto dal Maestro, avven-

    ne che un giorno ci trovammo insieme a

    prendere una tazza di tÈ. Io afferrai al volo

    la felice occasione per parlargli liberamente

    e gli aprii il mio cuore.

    ® Capisco bene ¯ dissi ® che non si deve

    aprire la mano bruscamente, se non si vuole

    guastare il colpo. Ma in qualunque modo io

    faccia, sbaglio sempre. Se stringo la mano il

    pi— possibile, quando l'apro la scossa È ine-

    vitabile. Se invece cerco di tenerla rilassata,

    la corda sfugge ancora prima di aver rag-

    giunto l'intera apertura dell'arco, involon-

    tariamente, È vero, ma troppo presto. Tra

    queste due maniere di sbagliare io mi dibat-

    to e non trovo via d'uscita¯.

    ®Lei deve¯ rispose il Maestro ®tenere la

    corda tesa come un bambino piccolo tiene il

    dito che gli si porge. Lo tiene cos stretto

    che non finiamo di meravigliarci della forza

    di quel minuscolo pugno. E quando abban-

    dona il dito lo fa senza la minima scossa. Sa

    perch‚? Perch‚ il bambino non pensa -

    mettiamo: ora lascio il dito per afferrare

    quest'altra cosa. Ma, senza riflettere e sen-

    za intenzione, passa da una cosa all'altra e

    si potrebbe dire che egli gioca con le cose se

    non fosse altrettanto giusto dire che le cose

    giocano con lui¯.

    ® Forse capisco a cosa lei allude con questo

    paragone¯ osservai. ® Ma non mi trovo in

    tutt'altra situazione? Quando ho teso l'arco

    viene il momento in cui sento che, se il

    colpo non parte subito, non posso pi— soste-

    nere la tensione. E che cosa accade allora

    improvvisamente? Semplicemente questo:

    mi manca il respiro. E cos devo far partire

    il colpo io stesso, come che vada, perch‚

    non posso pi— aspettare che parta¯.

    ®Lei ha descritto anche troppo bene¯ ri-

    spose il Maestro ®dove sta per lei la diffi-

    colt…. Sa perch‚ non può attendere che il

    colpo parta e perch‚ il fiato le viene a man-

    care prima che il colpo sia partito? Il tiro

    giusto nel momento giusto non viene perch‚

    lei non si stacca da se stesso. Lei non È teso

    verso il compimento, ma attende il proprio

    fallimento. Finch‚ le cose stanno cos non le

    resta altra scelta che provocare lei stesso un

    accadimento che È indipendente da lei, e

    fintanto che lei lo provoca, la mano non si

    apre nella maniera giusta--come la mano

    di un bimbo; non scoppia come il guscio di

    un frutto maturo¯.

    Dovetti confessare al Maestro che questa

    spiegazione accresceva la mia confusione.

    ®Ma infine¯ feci osservare ®tendo l'arco

    e tiro la freccia per colpire il bersaglio

    Tendere È dunque un mezzo per uno

    scopo. Una relazione che non posso perde-

    re di vista. Il bambino non la conosce

    ancora, ma io non posso pi— ignorarla¯.

    ®La vera arte¯ esclamò allora il Maestro

    ®È senza scopo, senza intenzione! Quanto

    pi— lei si ostiner… a voler imparare a far

    partire la freccia per colpire sicuramente il

    bersaglio, tanto meno le riuscir… l'una

    cosa, tanto pi— si allontaner… l'altra. Le È

    d'ostacolo una volont… troppo volitiva. Lei

    pensa che ciò che non fa non avvenga¯.

    ®Ma lei non ha spesso ripetuto¯ obiettai

    ® che il tiro con l'arco non È un passatem-

    po, un giOCo senza scopo, ma una questio-

    ne di vita e di morte?¯.

    ®E lo sostengo. Noi maestri d'arco dicia-

    mo: un colpo- una vita! Ciò che questo

    significa lei non lo può ancora capire, ma

    forse l'aiuter… un'altra immagine che tra-

    duce la stessa esperienza. Noi maestri

    d'arco diciamo: con l'estremit… superiore

    dell'arco l'arciere fora il cielo, all'estremit…

    inferiore È appesa la terra, fissata con un

    filo di seta. Se il colpo parte con una forte

    scossa c'È il pericolo che il filo si spezzi.

    Per il volitivo e il violento la frattura

    diventa allora definitiva e l'uomo resta

    irrimediabilmente nello spazio intermedio

    tra il cielo e la terra¯.

     

     

    ®Imparare la giusta attesa¯.

    ®E come si impara?¯.

    ® Staccandosi da se stesso, lasciandosi die-

    tro tanto decisamente se stesso e tutto ciò

    che È suo, che di lei non rimanga altro che

    una tensione senza intenzione¯.

    ® Devo dunque spogliarmi intenzionalmen-

    te di ogni intenzione¯ mi scappò detto.

    ® Questo non me l'ha chiesto ancora nessun

    allievo e perciò non so la risposta giusta ¯.

    ® E quando cominciamo questi nuovi

    esercizi? ¯.

    ®Aspetti che sia l'ora!¯.

     

     

    Si capir… facilmente come questo colloquio

    - il primo esauriente dall'inizio dell'inse-

    gnamento - mi lasciasse estremamente tur-

    bato. Finalmente si toccava il tema per il

    quale mi ero proposto d'imparare il tiro con

    l'arco. Quella liberazione da se stessi di cui

    aveva parlato il Maestro, non si trovava

    sulla via che conduce al vuoto, al distacco?

    Non ero dunque giunto a quel punto in cui

    cominciava a farsi sentire l'influsso dello

    relazione la capacit… di attendere senzain-

    tenzione stesse con lo scoccare del colpo al

    momento giusto, quando la tensione ha rag-

    giunto il suo limite, questo non ero ancora

    in grado di spiegarlo. Ma perch‚ anticipare

    nel pensiero ciò che solo l'esperienza può

    insegnare? Non era finalmente tempo di ab-

    bandonare questa tendenza infruttuosa?

    Quante volte avevo segretamente invidiato

    i numerosi allievi del Maestro che si lascia-

    vano prendere la mano e guidare da lui

    come bambini! Che felicit… deve essere po-

    terlo fare senza riserve. Tale atteggiamento

    non conduce necessariamente a indifferen-

    za e impotenza spirituale. Ai bambini non

    È per lo meno permesso di fare molte do-

    mande?

    Nella lezione seguente il Maestro- con mia

    delusione - continuò gli esercizi abituali:

    tendere l'arco, restare nella massima tensio-

    ne, far partire il colpo. Ma tutti i suoi buoni

    consigli non valsero a nulla. Cercavo s,

    secondo le sue istruzioni, di non cedere alla

    tensione, ma di tendermi di l… da essa, come

    se per la natura intrinseca dell'arco non le

    fossero posti limiti; mi sforzavo di aspettare

    fino a che la tensione si compisse e allo

    stesso tempo si sciogliesse nel colpo, eppure

    ogni colpo falliva: desiderato, provocato,

    deviato. Solo quando si arrivò al punto che

    il proseguimento di tali esercizi minacciò

    non solo di diventare infruttuoso ma anche

    addirittura pericoloso, perch‚ sempre pi—

    pregiudicati dall'assillo dell'insuccesso, il

    Maestro li interruppe per iniziarne una se-

    rie tutta nuova.

    ® D'ora in poi, quando verrete a lezione ¯ ci

    disse ® dovrete raccogliervi gi… strada facen-

    do. Concentratevi su ciò che avviene qui

    nella sala degli esercizi! Passate accanto a

    tutto senza badarvi, come se al mondo ci

    fosse una sola cosa importante e reale: il tiro

    con l'arco¯.

    Anche la via al distacco da se stessi il Mae-

    stro la suddivise in singole parti, e ciascuna

    andava esercitata accuratamente. E anche

    qui egli si limitò a brevi indicazioni. Che

    per seguire questi esercizi basta che colui

    che li compie comprenda, anzi a tratti an-

    che soltanto intuisca, ciò che si richiede da

    lui. Non È perciò necessario afferrare e defi-

    nire concettualmente le tradizionali distin-

    zioni simboliche. E chi può escludere che

    queste, nate da prassi secolare, non vedano,

    sotto certi aspetti, pi— lontano di ogni cono-

    scenza consapevole e ponderata? Il primo

    passo su questa via È gi… stato compiuto.

    Ha portato al rilassamento fisico, senza il

    quale non È possibile tendere correttamente

    l'arco. Per far partire correttamente il colpo

    il rilassamento fisico deve ora trapassare in

    distensione psichico-spirituale, al fine di

    rendere lo spirito non solo mobile, ma libe-

    ro: mobile per giungere alla libert…, libero

    per raggiungere la mobilit… originaria; e ta-

    le mobilit… originaria È essenzialmente di-

    versa da tutto ciò che comunemente s'inten-

    de per mobilit… dello spirito. Cos tra le due

    condizioni, l'una di rilassamento fisico, l'al-

    tra di libert… spirituale, c'È una diversit… di

    livello che non si può pi— superare con la

    sola respirazione, ma con un ritrarsi da tutti

    i legami, quali essi siano, con un radicale

    abbandono dell'Io: cos che l'anima, im-

    mersa in se stessa, si trovi nella piena po-

    tenza della sua ineffabile origine.

    -All'esigenza di chiudere anzitutto le porte

    dei sensi non si soddisfa distogliendosi ener-

    gicamente da essi, ma piuttosto con la di-

    sposizione a cedere senza opporre resisten-

    za. Ma perch‚ questo atteggiamento di ina-

    zione riesca istintivamente l'anima ha biso-

    gno di un sostegno interno e lo acquista

    concentrandosi sulla respirazione. Questa

    viene eseguita in piena consapevolezza, co-

    scienziosamente, anzi addirittura con pe-

    danteria. Tanto l'inspirazione che l'espira-

    zione vengono esercitate separatamente e

    con cura. Il felice esito di questo esercizio

    non si fa aspettare a lungo. Quanto pi—

    intensamente l'attenzione si concentra sulla

    respirazione, tanto pi— si smorzano gli sti-

    moli esterni. Essi affondano in un mormorio

    indistinto, che si ascolta dapprima distrat-

    tamente e alla fine non disturba pi—, come

     

     

    non si senie quasi pi— il rumore del mare

    quando se n'È fatta l'abitudine. Col tempo

    si diventa insensibili anche a stimoli consi-

    derevoli e ci si sottrae sempre pi— facilmen-

    te e rapidamente alla loro soggezione. Si

    deve soltanto badare a che il corpo, in piedi,

    seduto o coricato, sia il pi— rilassato possibi-

    le, e se allora ci si concentra sul respiro, ci si

    trova ben presto isolati come da cortine

    impenetrabili.

    Si sa e si sente soltanto che si respira. Per

    liberarsi da questa sensazione e da questa

    consapevolezza non occorre nessun nuovo

    atto di volont…; la respirazione si rallenta da

    s‚, ha sempre meno bisogno di fiato, e infi-

    ne, fattasi uniforme e smorzandosi per tra-

    passi inavvertibili, si sottrae interamente al-

    l'attenzione.

    Questo felice stato di inconturbabile racco-

    glimento da principio non dura purtroppo a

    lungo. Minaccia di essere distrutto dall'in-

    terno Come sorgenti dal nulla affiorano im-

    provvisamente stati d'animo, sentimenti,

    desideri, preoccupazioni e persino pensieri

    in una mescolanza assurda, e quanto pi—

    lontani e singolari sono e quanto meno han-

    no a che fare con l'oggetto della nostra con-

    sapevolezza, tanto pi— ostinatamente Si ag-

    grappano. Si direbbe che vogliano vendi-

    carsi del fatto che la concentrazione tocca

    zone che solitamente essi non raggiungono.

    Ma anche qui si riesce a difendersi da tale

    intrusione se, continuando a respirare tran-

    quillamente, si accoglie con serelnit… ciò che

    si presenta, ci si abitua ad assistervi da

    semplici spettatori, sino a che si È finalmen-

    te stanchi dello spettacolo. Cos si giunge

    gradatamente a uno stato d'abbandono che

    somiglia a quel dormiveglia che precede il

    sonno.

    Scivolarvi definitivamente È il pericolo che

    bisogna evitare. Lo si affronta con un parti-

    colare scatto della concentrazione, parago-

    nabile al riscuotersi di uno che, sfinito da

    una notte di veglia, sa che dalla vigilanza di

    tutti i suoi sensi dipende la sua vita; e se tale

    scatto È riuscito anche una volta sola, si

    riuscir… sicuramente a ripeterlo. Per esso

    l'anima, come da sola, si ritrova quasi a

    librare entro se stessa, una condizione che,

    capace di crescere d'intensit…, si solleva ad-

    dirittura a quel senso d'incredibile leggerez-

    za, sperimentato solo in rari sogni, e di

    felice certezza di poter destare energie rivol-

    te in ogni direzione e di saperle accrescere o

    sciogliere a ogni livello.

    Questo stato, in cui non si pensa, non ci si

    propone, non si persegue, non si desidera n‚

    si attende pi— nulla di definito, che non

    tende verso nessuna particolare direzione

    ma che per la sua forza indivisa sa di essere

    capace del possibile come dell'impossibile-

    questo stato interamente libero da intenzio-

     

    ni, dall'Io, il Maestro lo chiama propria-

    mente << spirituale >>. infatti saturo di vi-

    gilanza spirituale e perciò viene anche chia-

    mato ® vera presenza dello spirito ¯. Con

    questo s'intende che lo spirito È presente

    dappertutto perch‚ non si apprende a nes-

    sun luogo particolare. E può restare presen-

    te perch‚ anche quando si rivolge a questo o

    a quello non vi si attaccher… con la riflessio-

    ne e non perder… cos la sua originaria mo-

    bilit…. Simile all'acqua che riempie uno sta-

    gno ma È sempre pronta a defluirne, lo spi-

    rito può ogni volta agire con la sua inesauri-

    bile forza, perch‚ È libero, e aprirsi a tutto

    perch‚ È vuoto. Tale condizione È veramen-

    te una condizione originaria e il suo emble-

    ma, un cerchio vuoto, non È muto per colui

    che vi sta dentro.

    Ô perciò con questa presenza e piena po-

    tenza del suo spirito non turbato da inten-

    zioni, e fossero le pi— nascoste, che l'uomo

    che si È svincolato da tutti i legami deve

    esercitare qualsiasi arte. Ma perch‚ egli, in

    perfetto oblio di se stesso, possa inserirsi nel

    processo formale bisogna che sia avviata la

    pratica dell'arte. Perch‚ se colui che È im-

    merso in se stesso si trovasse di fronte a una

    situazione in cui non può introdursi istinti-

    vamente, sarebbe costretto a prenderne pri-

    ma coscienza. Egli rientrerebbe cos di nuo-

    vo in tutti quei rapporti di cui si era libera-

    to; somiglierebbe a uno che si sveglia e pen-

    sa al programma della giornata, non a un

    'risvegliato', che vive nello stato originario.

    di l opera. E non avrebbe mai la sensazione

    che le singole fasi del processo operativo gli

    vengano incontro da sole quasi per inter-

    vento superiore; non saprebbe mai come

    l onda travolgente di un accadimento si tra-

    smetta a colui che non È pi— che una vibra-

    z ione, e come tutto ciò che fa È fatto prima

    ancora che lui lo sappia. Perciò il distacco e

    la liberazione dall'Io, l'interiorizzazione e

    la condensazione della vita necessari a una

    totale presenza dello spirito non vengono-

    e tanto meno quanto pi— dipende da essa -

    lasciati a felici disposizioni naturali o addi-

    rittura al caso, e neppure affidati alla cieca

    a quel processo formale che richiede tutte le

    forze, e in tal modo alla fiducia che la con-

    centrazione necessaria si produca da s‚.

    Prima di agire e operare, prima di abban-

    donarsi e immedesimarsi, quella presenza

    dello spirito viene invece provocata e assi-

    curata con l'esercizio. Ma a partire dal mo-

    mento in cui si riesce non solo ad acquistar-

    la sporadicamente, ma a raggiungerla in

    pochi istanti, la concentrazione, come pri-

    ma la respirazione, viene collegata col tiro

    con l'arco. Al processo della tensione del-

    l arco e del tiro ci si introduce con una

    successione scorrevole e ritmica di atti: l'ar-

    ciere che in ginocchio, in disparte, ha co-

    minciato a concentrarsi, si porta a passi

    solenni davanti al bersaglio, dopo essersi

     

     

    inchinato protnndamente presenta arco e

    freccia come un'offerta sacra, poi incocca la

    freccia, solleva l'arco e, in estrema vigilanza

    dello spirito, resta fermo in attesa. Dopo il

    fulmineo scattare della freccia e il simulta-

    neo sciogliersi della tensione, l'arciere resta

    immobile nella posizione che viene a pren-

    dere dopo aver tirato, fino a che, dopo una

    lunga espirazione, deve riprendere fiato.

    Soltanto allora lascia cadere le braccia, s'in-

    china davanti al bersaglio e, se non ha da

    tirare altri colpi, si ritira composto in fondo

    alla sala.

    In questo modo il tiro con l'arco si È trasfor-

    mato in una cerimonia che interpreta la

    'Grande Dottrina'.

    Anche se in questo stadio l'allievo non affer-

    ra ancora la portata spirituale dei suoi colpi,

    comprende però definitivamente perch‚ il

    tiro con l'arco non può essere uno sport, un

    esercizio ginnico. Comprende perch‚ ciò che

    si può apprendere tecnicamente deve essere

    esercitato coscienziosamente e fino alla sa-

    ziet…. Se tutto dipende dal sapersi inserire

    nell'accadimento col perfetto abbandono di

    s‚ e di ogni intenzione, il compimento ester-

    no dovr… prodursi come da solo, senza che la

    riflessione lo guidi e lo controlli.

     

    educa infatti la scuola giapponese Eserci-

    zio, ripetizione e ripetizione del ripetuto so-

    no, in progresso crescente e per lunghi trat-

    ti, le sue caratteristiche. Questo vale alme-

    no per tutte le arti legate alla tradizione.

    Dare l'esempio, dare il modello; immedesi-

    marsi, imitare - questa È la relazione fonda-

    mentale dell'insegnamento, anche se nelle

    ultime generazioni, con l'introduzione di

    nuove materie di studio, abbiano preso pie-

    de anche metodi d'insegnamento europei e

    vengano usati con innegabile intelligenza

    Come si spiega il fatto che, malgrado l'ini

    ziale entusiasmo per la novit…, le arti giap-

    ponesi siano rimaste sostanzialmente im-

    muni da queste nuove forme d'insegna-

    mento?

    Non È facile dare una risposta a tale doman-

    da. Eppure tenterò di farlo, e sia pure in

    modo sommario, per chiarire maggiormen-

    te lo stile dell'insegnamento giapponese e

    c on esso il significato dell'imitazione.

    L'allievo giapponese porta con s‚ tre cose:

    buona educazione, appassionato amore per

    l'arte da lui scelta e venerazione incondizio-

    nata del maestro. Fin dai tempi pi— antichi

    il rapporto maestro-allievo fa parte dei lega-

    ;mi fondamentali della vita e investe perciò

    il maestro di una grande responsabilit…, che

    va molto al di l… dei limiti della sua materia.

    All'inizio allo scolaro non si richiede che

    una coscienziosa imitazione di ciò che il

    maestro esegue davanti a lui. Alieno da lun-

    ghe istruzioni e spiegazioni, questi si limita

    a brevi cenni e non si aspetta che l'allievo

    ponga domande. Egli assiste tranquilla-

    mente agli incerti tentativi senza ripromet-

    tersi autonomia e iniziativa, e ha la pazien-

    za di attendere la crescita e la maturazione.

    L'uno e l'altro non hanno fretta, il maestro

    non spinge e l'allievo non corre.

    Ben lontano dal voler destare anzitempo

    nell'allievo l'artista, il maestro ritiene suo

    primo compito di fare di lui un esperto, che

    ha assoluta padronanza del mestiere. A

    questo intento l'allievo viene incontro con

    instancabile diligenza. Come se non avesse

    pretese pi— elevate, egli si lascia imporre la

    soma con cieca sottomissione, e solo nel

    corso degli anni l'esperienza gli prover… che

    le forme di cui È perfettamente padrone non

    lo opprimono pi—, ma lo liberano. Di giorno

    in giorno gli diventa sempre pi— facile se-

    guire tecnicamente tutte le ispirazioni, ma

    anche lasciarsi ispirare dall'osservazione

    pi— scrupolosa. La mano che regge il pen-

    nello, nel momento stesso in cui lo spirito

    comincia a dare forma, ha gi… colto e com-

    piuto ciò che esso intravede, e alla fine l'al-

    lievo non sa a quale dei due, lo spirito o la

    mano, È dovuta l'opera.

    Ma per arrivare al punto in cui l'abilit…

    tecnica diventa 'spirituale', È necessaria, co-

    trazione di tutte le forze fisiche e psichiche,

    della quale, come mostreranno altri esempi,

    non si può fare a meno in nessun caso.

    Un pittore all'inchiostro di China prende

    posto davanti agli allievi. Esamina i pennelli

    e li dispone lentamente per l'uso, macina

    accuratamente il colore, raddrizza la lunga e

    sottile striscia di carta che sta davanti a lui

    sulla stuoia, e finalmente, dopo essersi trat-

    tenuto un certo tempo in profonda concen-

    trazione, in cui sembra irraggiungibile, con

    pennellate rapide e sicure traccia un'imma-

    gine che non richiede n‚ tollera correzioni e

    che serve di modello agli allievi.

    Un maestro dei fiori comincia la lezione

    sciogliendo con precauzione il legaccio che

    stringe i fiori e i rami fioriti, e dopo averlo

    arrotolato con cura, lo mette da parte. Con-

    sidera quindi i singoli rami, dopo ripetuto

    esame ne sceglie i migliori, d… a essi, pie-

    gandoli delicatamente, la forma che devono

    assumere secondo la loro funzione e final-

    mente li dispone in un vaso appositamente

    scelto. La composizione, al suo termine, ap-

    pare come se il maestro avesse indovina-

    to ciò che la natura sogna nei suoi sogni

    oscuri.

    In questi due casi, a cui vorrei limitarmi, i

    maestri Si comportano come se fossero soli.

    Agli allievi non concedono neppure uno

    sguardo, tanto meno una parola. Compiono

     

     

    i preparativi calmi e assorti, si perdono,

    dimentichi di s‚, nel processo creativo delle

    figure e delle forme, e ad ambedue esso

    appare, dalle operazioni preliminari all'o-

    pera compiuta, un accadimento in s‚ con-

    chiuso. Ed esso È in realt… dotato di una tale

    potenza espressiva da agire sullo spettatore

    come un quadro.

    Ma perch‚ il maestro non fa eseguire da

    qualche allievo esperto i preparativi indi-

    spensabili, ma tuttavia assolutamente se-

    condari? Se macina egli stesso il colore, se

    scioglie con tanta lentezza il legaccio invece

    di tagliarlo rapidamente e gettarlo via con

    noncuranza, questo stimola forse la forza

    della sua visione e della sua creazione arti-

    stica? E che cosa lo muove a ripetere questa

    serie di atti a ogni lezione con inesorabile

    insistenza e addirittura con pedanteria, sen-

    za ometterne alcuna parte, e a farlo imitare

    dagli allievi? Egli si tiene alle usanze tradi-

    zionali perch‚ i preparativi dell'opera, co-

    me sa per esperienza, servono a predisporlo

    alla creazione artistica. Egli deve alla calma

    meditativa con cui li esegue quella necessa-

    ria distensione e quell'equilibrio di tutte le

    sue forze, quel raccoglimento e quella pre-

    senza dello spirito senza i quali non nasce

    alcuna opera valida. Assorto nella sua azio-

    ne, ma senza intervenirvi volontariamente,

    egli viene condotto verso il momento in cui

    l'opera, di cui ha un'intuizione vaga e idea-

    cbn l'arco i passi e le posizioni, qui, in forme

    diverse, altri preliminari hanno la stessa

    funzione. E soltanto l… dove questo non È

    possibile, ad esempio per il danzatore sacro

    e l'attore, il raccoglimento e la concentra-

    zione precedono l'entrata in scena.

    Anche in questi esempi si tratta dunque

    innegabilmente, come nel tiro con l'arco, di

    cerimonie. Con una chiarezza che il mae-

    stro non potrebbe dare con le parole, l'allie-

    vo apprende da esse che si raggiunge il

    giusto atteggiamento spirituale dell'artista

    quando i preparativi e l'opera, il mestiere e

    l arte, il materiale e lo spirituale, il soggetti-

    vo e l oggettivo trapassano senza disconti-

    nuit… l'uno nell'altro. E con ciò ha trovato

    un nuovo motivo d'imitazione. Ormai gli È

    richiesta la completa padronanza delle for-

    me della concentrazione, della meditazione

    piU profonda. L'imitazione, non pi— rivolta

    a contenuti oggettivi, che ciascuno con buo-

    na volont… riesce in qualche modo a ripro-

    durre, Si fa ora pi— libera, pi— mobile, pi—

    spirituale. L'allievo si vede di fronte a nuo-

    ve possibilit…, ma nello stesso tempo ap-

    prende che la loro realizzazione non dipen-

    de pi— minimamente dalla sua buona vo-

    lont….

    Ammesso che il suo talento gli permetta di

    raggiungere questo livello, un pericolo qua-

    Si inevitabile attende l'allievo nel suo cam-

     

     

    mino d'artista. Non il perico!o 'Ii consumar-

    si nel vano compiacimento di s‚ - l'uomo

    dell'Estremo Oriente non ha per natura al-

    cuna disposizione a questo culto del proprio

    Io- ma piuttosto il pericolo di fermarsi a

    ciò che egli sa ed È, a ciò che il s£ccesso

    conferma e la fama celebra. Di comportarsi

    cioÈ come se l'esistenza artistica fosse una

    forma di vita a s‚, e che ha in s‚ il proprio

    suggello e la propria giustificazione.

    Il maestro lo prevede. Cautamente, e con la

    pi— sottile arte nella guida d'anime, cerca di

    prevenire a tempo il pericolo e di liberare

    l'allievo da se stesso. Vi perviene ricordan-

    dogli, senza insistervi e come se fosse un'os-

    servazione occasionale, legata all'esperien-

    za che l'allievo ha gi… fatto, che ogni crea-

    zione valida riesce soltanto nella condizione

    di schietto abbandono del proprio Io, nella

    quale chi opera non può pi— essere presen-

    te, come 'se stesso'. Solo lo spirito È presen-

    te, una sorta di vigilanza che non presenta

    affatto la sfumatura dell"io stesso', e perciò

    penetra tanto pi— liberamente in tutte le

    lontananze e le profondit… <~ con occhi che

    odono e con orecchi che vedono¯.

    Cos il maestro conduce l'allievo attraverso

    se stesso. E sotto la sua g£ida l'allievo diven-

    ta sempre pi— capace d'intravedere qualco-

    sa di cui ha spesso sentito parlare, ma la CUl

    realt… egli comincia ad afferrare solo ora

    alla luce delle proprie esperienze. Non im-

    porta quali nomi il maestro dia a ciò che

    intende, anzi, se neppure lo nomini. L'allie-

    vo lo comprende anche se non ne parla.

    Ma con questo s'inizia un movimento inter-

    no decisivo. Il maestro lo segue e senza

    influire sul suo corso con nuovi insegna-

    menti che solo lo turberebbero, aiuta l'allie-

    vo nel modo pi— intimo e segreto di cui

    dispone: con la trasmissione diretta dello

    spirito, come si dice negli ambienti buddhi-

    sti. ®Come con una candela accesa se ne

    accende un'altra ¯, cos il maestro trasmette

    lo spirito della vera arte da cuore a cuore

    perch‚ s'illumini. Se ciò gli È concesso, l'al-

    lievo ri-cor-da che pi— importante di tutte le

    opere esterne, anche le pi— affascinanti, È

    l'opera interiore che egli deve attuare se

    vuole portare a compimento la sua vocazio-

    ne d'artista.

    Ma l'opera interiore consiste in questo: che

    da quell'uomo che È, da quel S‚ che si sente

    e sempre si ritrova, egli diventi materia per

    una educazione e una formazione al cui

    termine sta la maestria. In essa l'artista e

    l'uomo in tutta l'estensione del termine s'in-

    contrano su un piano pi— alto. Poich‚ la

    maestria È giustificata come forma di vita

    solo se vive di una verit… sconfinata e, soste-

    nuta da essa, È l'arte delle origini. Il mae-

    stro non cerca pi—, trova. Come artista È un

    uomo sacerdotale, come uomo un artista a

    cui, nell'azione-come nella inazione, nella

     

     

    creazione come nel silenzio, nell essere o nel

    non-essere, Buddha guarda in cuore. L'uo-

    mo, l'artista, l'opera - sono una cosa sola.

    L'arte dell'opera interiore, che non si sepa-

    ra dall'artista come quella esteriore, quella

    che egli non può fare ma soltanto essere,

    scaturisce da profondit… che il giorno non

    conosce.

    La via alla maestria È ardua. Sovente l'allie-

    vo prosegue nel suo cammino soltanto per

    la fede che ha nel maestro; solo ora vede in

    lui ii volto stesso della maestria, l'esempio

    vivo dell'opera interiore, che convince per il

    solo fatto di esistere.

    In tale stadio l'imitazione del maestro ac-

    quista il suo significato ultimo e pi— matu-

    ro: conduce alla partecipazione allo spirito

    della maestria attraverso il discepolato.

    Quanto lontano arriver… l'allievo, questo

    non preoccupa l'insegnante e maestro. Non

    appena gli ha mostrato la giusta via deve

    lasciare che proceda da solo. Una sola cosa

    deve fare ancora perch‚ l'allievo sostenga la

    prova della solitudine: lo distacca da s‚, dal

    maestro, esortandolo affettuosamente ad an-

    dare pi— lontano di lui e a ® salire sulle spalle

    del maestro¯.

    L'allievo, ovunque lo porti la sua via, potr…

    perdere di vista il suo maestro, ma mai

    dimenticarlo. Con una gratitudine disposta

    a ogni sacrificio, e che ha preso il posto

    della venerazione incondizionata del princi-

    piante e della fede salvatrice dell'artista, lo

    sosterr… sempre. Con innumerevoli esempi

    anche del recente passato si potrebbe mo-

    strare come questa gratitudine superi di

    gran lunga la misura consueta tra gli uo-

     

    mini.

     

     

    Nella interpretazione della 'Grande Dottri-

    na' del tiro con l'arco elevata a dignit… di

    cerimonia, io penetravo di giorno in giorno

    con maggiore facilit…, e la mettevo anche

    agevolmente in pratica, o per meglio dire,

    mi sentivo condotto attraverso di essa come

    attraverso un sogno. Cos ciò che il Maestro

    aveva predetto trovava conferma. Non po-

    tevo però evitare che il decorso in s‚ con-

    c hiuso della concentrazione durasse soltan-

    to fino al momento in cui doveva partire il

    colpo. La prolungata attesa nella massima

    tensione diventava non soltanto faticosa,

    cos da perdere di forza, ma cos insoppor-

    tabile che ogni volta venivo strappato alla

    concentrazione e dovevo rivolgere la mia

    attenzione all'operazione del tiro. ® Smetta

    di pensare al momento del tiro! ¯ esclamava

    il Maestro. ®Cos non può che fallire!¯.

     

    ® Non posso fare altrimenti, ¯ rispondevo ® la

    tensione diventa addirittura dolorosa¯.

    ® Questa sensazione la prova solo perch‚

    non È vera e distaccato da s‚. Eppure È

    tutto cosi dice. Una comune foglia di

    bamb— può insegnarle di che si tratta. Sotto

    il peso della neve si-piega in gi—, sempre pi—

    in gi—. E a un tratto il carico di neve scivola

    via senza che la foglia si sia mossa. Resti

    come essa nella massima tensione fino a

    che il colpo parta. Ô cos infatti: quando la

    tensione ha raggiunto il suo limite, il colpo

    deve partire, deve staccarsi dall'arciere co-

    me il carico di neve dalla foglia di bamb—,

    prima ancora che egli ci pensi¯.

    Nonostante tutti i miei sforzi per non inter-

    venire, non riuscivo ad attendere tranquil-

    lamente che il colpo partisse. Ora come

    prima non mi restava altro che farlo partire

    volontariamente. E questo ostinato insuc-

    cesso mi abbatteva tanto pi— perch‚ avevo

    gi… superato il terzo anno d'insegnamento.

    Non posso negare di aver passato ore cupe,

    in cui mi chiedevo se in avvenire avrei potu-

    to giustificare quel dispendio di tempo, che

    pareva non aver pië alcun ragionevole rap-

    porto con quanto avevo imparato e speri-

    mentato fino allora. Mi tornò alla mente

    l'osservazione ironica che mi aveva fatto un

    mio connazionale: che in Giappone doveva-

    no esserci cose ben pi— importanti da porta-

    re a casa che proprio quell'arte infruttuosa,

    e la sua domanda su che cosa ne volessi fare

    pi— tardi di quell'arte e di quelle conoscen-

    ze, che allora avevo respinto, all'improvviso

    non mi sembrò pi— cos assurda.

    Il Maestro dovette avvertire ciò che avveni-

    va in me. In quel tempo, cos mi rifer pi—

    tardi il signor Komachiya, aveva tentato di

    approfondire un'introduzione giapponese

    alla filosofia per trovare come potesse anco-

    ra aiutarmi partendo da un terreno a me

    familiare. Ma alla fine aveva messo da par-

    te il libro infastidito e con la constatazione

    che ora poteva capire meglio come a uno

    che si occupava di tali cose dovesse riuscire

    estremamente difficile assimilare l'arte del

    tiro con l'arco.

    Durante le vacanze estive andammo al ma-

    re, nella solitudine di un paesaggio tacito e

    sognante, di sobria bellezza. Avevamo por-

    tato con noi, come il bagaglio pi— importan-

    te, i nostri archi. Ogni giorno mi assillava il

    problema di come far partire il colpo. Era

    diventata un'idea fissa, che mi faceva di-

    menticare sempre pi— l'istruzione del Mae-

    stro: che ci esercitassimo soltanto nella con-

    centrazione liberatrice. Considerando la co-

    sa sotto ogni aspetto ed esaminando tutte le

    possibilit… conclusi che l'errore non poteva

    stare l… dove il Maestro lo supponeva, nella

    mancanza cioÈ di abbandono dell'Io e di

    ogni intenzionalit…, ma nel fatto che le dita

    della mano destra tenevano troppo stretto il

     

     

    poiiice. Quanio pi— il colpv tardava a parti-

    re, tanto pi— le contraevo involontariamen-

    te. Pensai che era l che dovevo intervenire.

    Ben presto trovai una soluzione semplice e

    insieme convincente del problema. Se io,

    dopo aver teso l'arco, avessi disteso con

    cautela e gradatamente le dita accavallate

    sul pollice, sarebbe venuto il momento che

    il pollice, non pi— trattenuto da esse, sareb-

    be scattato da solo dalla sua posizione: po-

    teva cos avvenire che il colpo partisse in un

    lampo, e dunque ® si staccasse come il cari-

    co di neve dalla foglia di bamb—¯. Questa

    scoperta mi convinse anche per la sua sedu-

    cente affinit… con la tecnica del tiro col fuci-

    le. In quest'ultima, infatti, il dito indice

    viene piegato lentamente fino al momento

    in cui una leggerissima pressione supera

    l'ultima resistenza.

    Mi convinsi rapidamente che dovevo essere

    sulla buona strada. Quasi ogni colpo parti-

    va senza scosse e, cos mi sembrava, inav-

    vertitamente. Non mi sfuggiva tuttavia il

    rovescio della medaglia: il lavoro di preci-

    sione della mano destra esigeva tutta la mia

    attenzione. Ma mi consolavo con la speran-

    za che questa soluzione tecnica a poco a

    poco mi sarebbe diventata cos familiare da

    non richiedere pi— una particolare attenzio-

    ne, e che cos sarebbe venuto il giorno in cui

    io, proprio grazie a essa, restando immobile

    e distaccato nella massima tensione, sarei

    pevolmente; che cioÈ anche in questo caso

    l'abilit… tecnica si sarebbe spiritualizzata

    Con questa convinzione e sempre pi— fidu

    CiOSO feci tacere quanto dentro di me vi si

    opponeva, e neppure ascoltai le obiezioni di

    mia moglie, giungendo finalmente alla con-

    solante sensazione di aver fatto un passo

     

    ~, avanti.

    L Gi… il primo colpo che feci partire alla ripre-

    L sa delle lezioni, riusc, a mio avviso, perfet-

    tamente. Part liscio e improvviso. Il Mae-

    stro mi guardò per un poco e poi, esitante

    come uno che non crede ai propri occhi

    disse: ®Un'altra volta, la prego¯. Il mio

    secondo tiro mi sembrò avesse ancora supe-

    rato il primo. Allora il Maestro mi si

    avvicinò senza parlare, mi tolse di mano

    l'arco e sedette su un cuscino, voltandomi le

    spalle. Compresi che cosa significava e me

    ne andai.

    Il giorno dopo il signor Komachiya mi

    comunicò che il Maestro rifiutava di conti-

    nuare a darmi lezione perch‚ avevo cercato

    d'ingannarlo. Estremamente turbato da

    ~questa interpretazione della mia condotta,

    spiegai al signor Komachiya come io, per

    non segnare ancora il passo, fossi giunto a

    quel modo di tirare. Per sua intercessione il

    maestro finalmente si dichiarò disposto a

    ~tornare sulla sua decisione, ma fece dipen-

    dere la ripresa delle lezioni dalla mia espli-

     

     

    cita promessa di non Irasgredire mai pi—

    allo spirito della 'Grande Dottrina'.

    Se non mi avesse guarito la profonda

    umiliazione, l'avrebbe fatto il contegno del

    Maestro. Egli non fece alcuna allusione a

    ciò che era avvenuto, ma disse soltanto

    molto semplicemente: ®Lei vede che cosa

    vuol dire non poter restare senza intenzio-

    ne nello stato di massima tensione. Lei non

    riesce nemmeno a continuare a imparare

    senza chiedersi continuamente: ce la farò?

    Aspetti pazientemente quel che viene e

    come viene! ¯. Gli feci osservare che erava-

    mo gi… al quarto anno d'insegnamento e

    che il mio soggiorno in Giappone era di

    durata limitata.

    ®La via alla meta¯ replicò ®non si può

    misurare, che significano settimane, mesi,

    anni? ¯.

    ® Ma se devo interrompere a met… stra-

    da?¯ chiesi.

    ® Quando lei sar… veramente distaccato

    dall'Io potr… interrompere ad ogni momen-

    to. Dunque si eserciti in questo!¯.

    E cos ricominciò da principio, come se ciò

    che avevo imparato fino allora non fosse

    servito a nulla. Ma il restare senza inten-

    zione nello stato di massima tensione non

    mi riusciva neppure ora, come se fosse

    impossibile uscire dal vecchio binario.

    Perciò un giorno chiesi al Maestro: ®Ma

    come può partire il colpo se non lo tlro

    'io'? ¯.

    ® 'Si' tira ¯.

    ®L'ho gi… sentito dire pi— volte da lei e

    perciò devo porre diversamente la mia do-

    manda: come posso attendere il tiro, dimen-

    tico di me, se 'io' non devo entrarci per

    nulla? ¯.

    ®'Si' permane nella massima tensione¯.

    ®E chi o che cosa È questo 'Si'?¯.

    ® Quando l'avr… compreso non avr… pi— bi-

    sogno di me. E se io, risparmiandole di

    farne lei stesso l'esperienza, volessi metterla

    sulla strada, sarei il peggiore dei maestri e

    meriterei di essere cacciato. Dunque non

    parliamone pi—, ma esercitiamoci! ¯.

    Passarono settimane senza che avessi fatto

    un passo avanti. In compenso constatai che

    questo non mi turbava minimamente. Mi

    ero dunque stancato di quell'arte? Appren-

    derla o no, scoprire o no che cosa il Maestro

    intendesse con quel 'Si', trovare o no acces-

    so allo Zen- tutto questo mi sembrava a un

    tratto cos lontano, cos indifferente che non

    mi preoccupava pi—. Varie volte mi proposi

    di confidarmi con il Maestro, ma quando

    poi ero davanti a lui me ne mancava il

    coraggio; ero persuaso di non ricevere altra

    risposta che la solita: ® Non faccia doman-

    de, ma si eserciti ¯. Rinunciai dunque a

    chiedere e pi— volentieri di tutto avrei ri-

    nunciato anche all'esercizio, se il Maestro

    non mi avesse tenuto in pugno cos inesora-

    bilmente. Vivevo alla giornata, sbrigavo be-

    ne o male il mio lavoro professionale, e

    infine non mi preoccupai neppure pi— del

    fatto che mi fosse diventato indifferente tut-

    to.ciò a cui mi ero applicato con tanta co-

    stanza.

    Ed ecco che un giorno, dopo un tiro, il

    Maestro s'inchinò profondamente e inter-

    ruppe la lezione. ® Proprio ora 'Si' È tirato ¯

    esclamò, quando io lo fissai stupefatto. E

    quando ebbi finalmente compreso che cosa

    intendesse, non riuscii a contenere la mia

    gioia.

    ® Quel che ho detto ¯ mi rimproverò il Mae-

    stro ®non era una lode, ma una semplice

    constatazione, che non la deve toccare. E

    non mi sono inchinato davanti a lei, perch‚

    lei non c'entra affatto. Questa volta lei si È

    mantenuto nella massima tensione nel com-

    pleto oblio di s‚ e d'ogni intenzione; ed ecco

    che il colpo si È staccato da lei come un

    frutto maturo. E ora continui ad esercitarsi

    come se non fosse accaduto nulla! ¯.

    Solo dopo parecchio tempo riuscirono di

    quando in quando altri colpi giusti, che il

    Maestro, senza parlare, rilevava con un

    profondo inchino. Come avvenisse che par-

    tissero come da soli, senza mio intervento,

    come accadesse che la mia mano destra,

    quasi chiusa, si aprisse improvvisamente e

    scattasse indietro, non lo sapevo spiegare

    allora n‚ so spiegarlo oggi. Il fatto È che

    cos avveniva, e questo solo importa. Ma

    per lo meno arrivai a poco a poco a distin-

    guere da me i tiri giusti da quelli difettosi.

    La differenza qualitativa tra gli uni e gli

    altri È cos grande che non può sfuggire a

    chi l'ha sperimentata una volta. All'ester-

    no, allo spettatore, il tiro giusto si manife-

    sta, per un verso, dal fatto che lo scatto

    all'indietro della mano destra viene frenato

    e perciò non provoca alcuna scossa. Dal-

    l'altro, dopo i tiri sbagliati il respiro tratte-

    nuto si scarica con violenza e non si può

    riprendere fiato abbastanza rapidamente.

    Nei tiri giusti invece il fiato viene espirato

    gradatamente e senza sforzo, dopodich‚

    l'inspirazione avviene senza fretta. Il cuore

    continua a battere regolarmente e la con-

    centrazione non interrotta permette di pas-

    sare subito al tiro successivo. Ma all'inter-

    no, per l'arciere stesso, i tiri giusti produ-

    cono un tale effetto che gli sembra che il

    giorno sia cominciato solo allora. Dopo

    quei tiri egli si sente disposto a ogni giusta

    attivit…, o, ciò che È ancora pi— importante,

    a ogni giusta inattivit…. Ô una condizione

    meravigliosa. Ma chi vi si trova, ammoni-

    sce il Maestro con un fine sorriso, fa bene a

    starci come se non ci si trovasse. Solo se

    affrontata con assoluta imperturbabilit…

    non tarda a ritornare.

    ®Ora il peggio l'abbiamo dietro di noi¯

    dissi al Maestro quando un giorno mi

    annunciò che si sarebbe passati a nuovi

    esercizi.

    ®Da noi si consiglia¯ rispose ®che chi ha

    da percorrere cento miglia consideri le no-

    vanta come met…. La novit… di CUi ora si

    tratta È il tiro al bersaglio¯.

    Fino allora era servito da mira e allo stesso

    tempo a raccogliere le frecce un disco di

    paglia su un cavalletto di legno, di fronte al

    quale ci si poneva a una distanza di circa

    due lunghezze di freccia. Il bersaglio inve-

    ce, piantato a una distanza di circa sessanta

    metri, posa su un rilievo di sabbia alto e

    largo, che si appoggia a tre pareti e, come la

    sala in cui sta il tiratore, È protetto da un

    tetto di tegole di bella sagoma. Le due sale

    sono collegate da alte pareti di assi e isolano

    dall'esterno lo spazio in cui avvengono cose

    tanto singolari.

    Il Maestro eseg— davanti a noi il tiro al

    bersaglio. Le sue due frecce colpirono il

    centro. Poi ci invitò a eseguire la cerimonia

    esattamente come prima e, senza lasciarci

    minimamente turbare dal bersaglio, ad at-

    tendere nella massima tensione che il colpo

    partisse. Le nostre snelle frecce di bamb—

    volarono, È vero, nella direzione voluta, ma

    in parte non colpirono nemmeno il rilievo di

    sabbia e tanto meno il bersaglio, ma si

    conficcarono davanti a esso nel terreno.

     

    ® Le vostre frecce non hanno suffi:ciente

    portata¯ osservò il Maestro ®perch‚ non

    arrivano abbastanza lontano spiritualmen-

    te. Voi dovete comportarvi come se la meta

    fosse infinitamente lontana. A noi maestri

    d'arco È noto e confermato dalle esperienze

    quotidiane che un buon arciere con un arco

    di media potenza tira pi— lontano di un

    arciere senza spirito col pi— forte degli ar-

    chi. Non dipende dunque dall'arco ma dal-

    la 'presenza dello spirito', dallo spirito vivo

    e vigile con cui tirate. Ma perch‚ questa

    vigilanza spirituale raggiunga la massima

    tensione, voi dovete eseguire la cerimonia

    diversamente da come avete fatto finora:

    all incirca come danza un vero danzatore.

    Se lo fate cos, i movimenti delle vostre

    membra scaturiranno da quel centro dove

    avviene la giusta respirazione. E allora È

    come se voi, invece di svolgere la cerimonia

    come qualcosa d'imparato a memoria, la

    improvvisaste seguendo l'ispirazione del

    momento, cos che danza e danzatore siano

    una cosa sola. Se eseguirete dunque la ceri-

    monia come una danza rituale, la vostra

    vigilanza spirituale raggiunger… la massima

    intensit… ¯.

    Non so fino a che punto mi riusc allora di

    'danzare' la cerimonia e animarla cos dal

    centro. Il mio tiro, È vero, non era pi— trop-

    po corto, ma non arrivava a colpire il bersa-

    glio. Questo mi spinse a chiedere al Mae-

     

     

    ---- r---- - -

     

    come si mira. Ci deve pure essere, suppone-

    vo, un rapporto tra bersaglio e punta della

    freccia, e cos un modo di mirare che renda

    possibile far centro.

    ® Naturalmente c'È, ¯ rispose il Maestro ® e

    lei potr… trovare facilmente da s‚ l'imposta-

    tura adatta. Ma se anche poi ogni suo tiro

    colpisce il bersaglio lei non sarebbe che un

    virtuoso dell'arco, che può esibirsi. Per

    l'ambizioso, che conta quante volte fa cen-

    tro, il bersaglio non È che un povero pezzo

    di carta che egli fa a pezzi. La 'Grande

    Dottrina' del tiro con l'arco considera que-

    sto pura stregoneria. Essa non sa nulla di

    un bersaglio che È piantato a una certa

    distanza dall'arciere. Conosce solo la meta,

    che non si raggiunge in alcun modo tecnica-

    mente, e chiama questa meta, se pur la

    nomina, Buddha ¯. Dopo queste parole, che

    pronunciò come se si comprendessero da s‚,

    il Maestro ci invitò a osservare i suoi occhi

    mentre tirava. Come durante l'esecuzione

    della cerimonia, anche ora essi erano pres-

    soch‚ chiusi, e cos non avevamo l'impres-

    sione che egli mirasse.

    Noi continuavamo docilmente a esercitarci

    e lasciavamo che 'Si' tirasse. Dapprima non

    mi curai affatto di dove andassero a finire le

    frecce. Persino quei pochi tiri giusti non mi

    eccitavano, sapevo bene che mi erano dati.

    Ma alla lunga non mi sentii all'altezza di

    questo tiro alla cieca. Ricaddi nella tenta-

    zione di rifletterci sopra. Il Maestro non

    mostrò d'accorgersi del mio turbamento

    fino a che un giorno gli confessai che ero

    disorientato.

    ® Lei si preoccupa inutilmente, ¯ mi consolò

    ® si tolga dalla mente il pensiero di colpire

    nel segno! Può diventare un maestro d'arco

    anche se non tutti i colpi fanno centro I

    colpi centrati l… sul bersaglio sono soltanto

    prove e conferme esterne della sua mancan-

    za d'intenzione, del suo abbandono dell'Io

    della sua concentrazione, portate all'estre-

    mo, o come voglia chiamare questo stato.

    Vi sono gradi nella maestria, e solo chi ha

    raggiunto l'ultimo non può mancare anche

    il bersaglio esterno¯.

    ®Ma È proprio questo che mi riesce dif-

    ficile ¯ risposi. ® Credo di capire ciò che lei

    intende con il bersaglio vero, quello inter-

    no, che va colpito. Ma come avvenga che il

    bersaglio esterno, quel disco di carta, venga

    colpito senza che il tiratore abbia mirato

    e che cos i colpi centrati confermino all'e-

    sterno ciò che avviene internamente, questa

    correlazione mi È incomprensibile¯

    ® Lei È mal consigliato, ¯ mi fece osservare il

    Maestro dopo un momento ®se crede che

    una comprensione anche in parte soddisfa-

    cente di queste oscure connessioni possa

    portarla avanti. Si tratta qui di processi a

    CUi l'intelletto non arriva. Non dimentichi

     

     

    che anche nelLa natura ci sono corrispon-

    denze incomprensibili eppure cos reali che

    ci abbiamo fatto tanto l'abitudine da non

    pensare che possano essere altrimenti. Le

    citerò un esempio che mi ha dato spesso da

    pensare: il ragno danza la sua rete senza

    sapere che ci siano mosche che vi si impi-

    glieranno. La mosca, danzando spensierata

    in un raggio di sole, s'impiglia nella rete

    senza sapere che cosa l'attende. Ma attra-

    verso l'uno e l'altra 'Si' danza, e in quella

    danza interno ed esterno sono una cosa so-

    la. Cos l'arciere colpisce il bersaglio senza

    aver mirato esternamente--meglio non glie-

    lo so dire¯.

    Per quanto questo paragone mi desse da

    pensare, senza però che riuscissi a com-

    prenderlo fino in fondo - qualcosa dentro di

    me non voleva placarsi e mi impediva di

    continuare ad esercitarmi con cuore legge-

    ro. Una obiezione, che nel corso delle setti-

    mane si fece sempre pi— precisa, mi sal

    finalmente alle labbra. E chiesi: ®Non si

    può almeno supporre che dopo decenni d'e-

    sercizio lei, involontariamente e con la sicu-

    rezza di un sonnambulo, tenda l'arco e in-

    cocchi la freccia in modo che senza aver

    consapevolmente mirato colpisca il bersa-

    glio, anzi, lo debba necessariamente col-

    pire? ¯.

    Il Maestro, ormai abituato alle mie fastidio-

    se domande, scosse la testa. ®Non voglio

    negare ¯ disse dopo una pausa di silenzio e

    di riflessione ® che in ciò che lei dice possa

    esserci qualcosa di vero. Mi metto pure 'di

    fronte' al bersaglio, cos che necessariamen-

    te lo vedo, anche se non mi rivolgo verso di

    esso volontariamente. Ma d'altra parte so

    che tale vista non basta, non decide, non

    spiega nulla, perch‚ io vedo il bersaglio co-

    me non lo vedessi¯.

    ® E allora dovrebbe colpirlo anche con gli

    occhi bendati¯ mi sfugg detto.

    Il Maestro mi fissò con uno sguardo che mi

    fece temere di averlo ferito, quindi disse:

    ®Venga stasera!¯.

    Presi posto davanti a lui su —n cuscino. Mi

    porse il tÈ, ma non parlò. Cos rimanemmo

    seduti per molto tempo. Non si sentiva che

    il canterellare dell'acqua che bolliva sui

    carboni accesi. Finalmente il Maestro si

    alzò e mi fece cenno di seguirlo. La sala

    degli esercizi era tutta illuminata. Il Mae-

    stro mi disse di piantare nella sabbia da-

    vanti al bersaglio una candelina di quelle

    usate contro le zanzare, lunga e sottile come

    un ferro da calza, ma non di accendere la

    luce nella sala dove era il bersaglio. Era cos

    buio che non potevo neppure distinguerne i

    contorni, e se il minuscolo puntino di fuoco

    non si fosse tradito avrei forse potuto indovi-

    nare il luogo dove stava il bersaglio, ma non

    trovarlo con esattezza. Il Maestro 'danzò'

    la cerimonia. La sua prima freccia part

    dalla luce piena verso la profonda notte.

    Dal suono dell'impatto riconobbi che aveva

    colpito il bersaglio. Anche la seconda frec-

    cia lo colp. Quando ebbi fatto luce nella

    sala del bersaglio, scoprii con mio profondo

    stupore che la prima freccia era confitta nel

    centro, mentre la seconda aveva scheggiato

    la cocca della prima freccia, fendendone per

    un tratto l'asta, prima di conficcarsi accan-

    to a essa nel centro. Non osai estrarre le due

    frecce separatamente, ma le riportai insie-

    me al bersaglio. Il Maestro le considerò

    attentamente. ®Il primo colpo¯ disse poi

    ® non È stato, lei dir…, una cosa straordina-

    ria, perch‚ la sala del bersaglio da decenni

    mi È cos familiare che anche nel buio pi—

    fitto dovrei sapere dove si trova il bersaglio.

    Può darsi - e non voglio cercare delle scuse.

    Ma la seconda freccia, che ha colpito la

    prima - che ne dice? Ad ogni modo so che

    non sono 'io' a cui si può attribuire quel

    colpo. 'Si' È tirato e 'Si' È colpito. Inchinia-

    moci davanti al bersaglio come davanti a

    Buddha! ¯.

    Con le sue due frecce il Maestro aveva visi-

    bilmente colpito anche me. Come se duran-

    te la notte io fossi diventato un altro, non

    caddi pi— nella tentazione di curarmi delle

    mie frecce n‚ di ciò che di esse avveniva. Il

    Maestro mi confermò anche lui in questo

    atteggiamento non guardando mai il bersa-

    glio, ma tenendo sempre d'occhio soltanto

    l'arciere, come se fosse in lui che potesse

    leggere pi— sicuramente l'esito del colpo.

    Interrogato, l'ammise francamente, e io po-

    tei ogni volta constatare che il suo giudizio

    dava nel segno non meno delle sue frecce.

    Cos, egli stesso in profonda concentrazio-

    ne, trasmetteva agli allievi lo spirito della

    sua arte, e per mia stessa esperienza, a cui

    per molto tempo non ho voluto prestar fede,

    non temo di confermare che ciò che si dice

    della comunicazione diretta non È un modo

    di dire ma una realt… tangibile. Ma anche

    un altro genere di aiuto mi venne dal Mae-

    stro in quel tempo, ed egli lo chiamava

    ugualmente trasmissione diretta dello spiri-

    to. Quando io fallivo pi— colpi successivi,

    egli tirava alcuni colpi col mio arco.

    Il miglioramento era sorprendente; si sa-

    rebbe detto che l'arco si lasciasse tendere

    diversamente da prima, con pi— docilit…,

    pi— intelligenza. Non accadeva soltanto a

    me. Persino i suoi allievi pi— vecchi e esper-

    ti, uomini dalle professioni pi— diverse, non

    lo ponevano in discussione e si meraviglia-

    vano che io ne chiedessi come uno che vuol

    andare sul sicuro. Allo stesso modo nessuno

    potr… rimuovere i maestri di spada dalla

    loro convinzione che ogni spada forgiata

    con infinita cura e faticoso lavoro non assu-

    ma lo spirito dell'artefice, che perciò si pone

    anche all'opera in abito rituale. Le loro

     

    esperienze sono troppo concordanti ed essi

    stessi troppo esperti per non percepire come

    una spada risponda.

    Un giorno, al momento in cui il colpo par-

    tiva, il Maestro esclamò: ® Eccolo! S'in-

    chini!¯. Quando pi— tardi guardai il ber-

    saglio--purtroppo non seppi farne a meno--

    notai che la freccia ne aveva sfiorato solo

    l'orlo. ®Questo È stato un colpo giusto¯

    affermò il Maestro ®e cos va cominciato.

    Ma basta per oggi, se no al prossimo tiro lei

    si dar… troppo da fare e roviner… il buon

    inizio ¯.

    Col tempo diversi tiri l'uno dietro l'altro

    riuscirono a colpire il bersaglio, natural-

    mente sempre tra molti mal riusciti. Ma se

    accennavo appena ad esserne orgoglioso, il

    Maestro mi redarguiva con insolita durez-

    za. ®Che le viene in mente?¯ esclamava.

    ® Dei colpi cattivi non deve irritarsi, questo

    lo sa da un pezzo. Impari anche a non

    rallegrarsi di quelli buoni. Lei deve liberarsi

    dell'altalena del piacere e dispiacere. Deve

    imparare a starne al disopra con distacco e

    indifferenza e perciò a rallegrarsi come se

    un altro e non lei avesse tirato bene. Anche

    in questo deve esercitarsi instancabilmente.

    Non può nemmeno immaginarsi quanto sia

    importante ¯.

    In quelle settimane e in quei mesi sono

    passato attraverso la scuola pi— dura della

    mia vita, e anche se non mi riusc sempre

    facile piegarmici, imparai a poco a poco a

    gli ultimi stimoli ad occuparmi di me stesso

    e delle oscillazioni del mio stato d'animo

    ® Capisce ora ¯ mi chiese un giorno il Mae

    stro dopo un colpo particolarmente ben riu-

    sclto ® che significa: 'Si' tira, 'Si' colpisce? ¯.

    ® Io temo ¯ risposi ® di non capire pi— nulla

    anche la cosa pi— semplice mi si confonde.

    Sono io che tendo l'arco, o È l'arco che mi

    trae alla massima tensione? Sono io che

    colpisco il bersaglio o È il bersaglio che col-

    pisce me? Quel 'Si' È spirituale agli occhi

    del corpo e corporeo agli occhi dello spirito

    - È ambedue le cose o nessuna delle due?

    Tutto questo, arco, freccia, bersaglio e Io si

    intrecciano tra loro in modo che non so pi—

    separarli. E persino il bisogno di separarli È

    scomparso. Perch‚ non appena tendo l'arco

    e tiro, tutto diventa cos chiaro e naturale e

    cos ridicolmente semplice... ¯

    ® Proprio ora ¯ mi interruppe il Maestro ® la

    corda dell'arco l'ha trapassata da parte a

    parte ¯.

    Maestro ci propose di sottoporci a un esame

    pubblico. ®Non si tratta soltanto¯ spiegò

    ® di mostrare la vostra abilit…; verr… apprez-

    zato molto di pi— l'atteggiamento spirituale

    dell'arciere, fin nei particolari meno appari-

    scenti del suo comportamento. In ogni mo-

    do io mi aspetto da voi che non vi lasciate

    turbare dalla presenza di spettatori, ma ese-

    guiate in perfetta calma la cerimonia quasi

    fossimo, come finora, tra noi soli¯.

    Nelle settimane seguenti, infatti, non si

    lavorò in vista dell'esame, a cui non si fece

    neppure cenno, e spesso gi… dopo pochi tiri

    la lezione veniva interrotta. In compenso ci

    fu assegnato il compito di eseguire a casa

    nostra la cerimonia con le sue figure e le sue

    posizioni, ma anzitutto con la giusta respi-

    razione, e di concentrarci profondamente.

    Ci esercitammo nel modo prescritto e non

    appena ci fummo abituati a danzare la ceri-

    monia senza arco e frecce scoprimmo che

    gi… dopo pochi passi ci sentivamo straordi-

    nariamente concentrati, e tanto maggior-

    mente quanto pi— badavamo a facilitare il

    processo di concentrazione col rilassamen-

    to del corpo, che ci era facile provocare.

    Quando poi a lezione riprendevamo in ma-

    no arco e freccia, gli esercizi fatti a casa

    avevano un effetto cos benefico che anche

    l… scivolavamo agevolmente nello stato di

    'presenza dello spirito'. Ci sentivamo cos al

    sicuro che attendemmo con perfetta calma

    il giorno dell'esame. Superamm-o la~ prova,

    cos che il Maestro non ebbe bisogno di

    chiedere l'indulgenza degli spettatori con

    un sorriso imbarazzato, e ricevemmo dei

    diplomi che furono redatti sul luogo, con

    l'indicazione del grado di maestria che cia-

    scuno di noi aveva raggiunto. Il Maestro

    concluse l'esame tirando, in un costume

    stupendo, due colpi magistrali. Pochi giorni

    dopo mia moglie in un esame pubblico ot-

    tenne anche il titolo di maestra nell'arte di

    disporre i fiori.

    Da allora l'insegnamento prese un'altra

    piega. Contentandosi di pochi tiri per eser-

    cizio, il Maestro passò a spiegarci distesa-

    mente la 'Grande Dottrina' del tiro con l'ar-

    co, e insieme ad applicarla ai gradi che

    avevamo raggiunto. Sebbene si muovesse

    tra immagini misteriose e metafore oscure,

    anche pochi cenni bastavano a farci com-

    prendere di che si trattava. Pi— diffusamen-

    te si soffermava sulla natura dell"arte

    senz'arte' a cui deve condurre il tiro con

    l'arco se vuole raggiungere il suo compi-

    mento. ®Chi È capace¯ diceva ®di tirare

    con la corazza della lepre e il pelo della

    tartaruga, dunque di far centro senza arco

    (corazza) n‚ freccia (pelo), solo questi È

    maestro nel pi— alto significato della parola,

    maestro dell'arte senz'arte, anzi l'arte sen-

    z'arte stessa, e cos ad un tempo maestro e

    non-maestro. A questo punto il tiro con

    l'arco, come movimento senza movimento,

    danza senza danza - trapassa nello Zen ¯.

    Quando un giorno chiesi al Maestro come

    avremmo fatto, una volta ritornati in pa-

    tria, ad andare avanti senza di lui, egli ri-

    spose: ®La sua domanda ha gi… avuto ri-

    sposta dall'invito che vi ho fatto di sottopor-

    vi a un esame. Lei È arrivato a un grado in

    cui maestro e allievo non sono pi— due, ma

    uno. Lei può dunque separarsi da me in

    qualunque momento. E anche se vi saranno

    tra noi vasti oceani, quando lei si eserciter…

    come ha imparato, io sarò sempre presente.

    Non ho bisogno di chiederle di non rinun-

    ciare a nessun costo a esercitarsi regolar-

    mente, a non lasciare passare un giorno

    senza aver eseguito la cerimonia, anche sen-

    za arco n‚ freccia, o per lo meno senza aver

    respirato nel modo giusto. Non ho bisogno

    di chiederglielo perch‚ so che lei non potr…

    pi— rinunciare al tiro con l'arco spirituale.

    Non me ne scriva mai, ma ogni tanto mi

    mandi delle fotografie dalle quali io possa

    vedere come lei tende l'arco. Allora saprò

    tutto ciò che devo sapere.

    ® Ma a una cosa devo prepararla. Nel corso

    di questi anni tutti e due siete diventati

    diversi. L'arte del tiro con l'arco porta que-

    sto con s‚: l'arciere affronta se stesso fin

    nelle ultime profondit…. Probabilmente fino

    ad ora ve ne siete appena accorti, ma lo

    sentirete inevitabilmente quando in patria

    ritroverete amici e conoscenti: non vi inten-

    derete pi— come una volta. Vedrete molte

    cose diversamente e misurerete con altro

    metro. Anche a me È avvenuto lo stesso e

    questo attende tutti coloro che sono stati

    toccati dallo spirito di quest'arte¯. Come

    commiato, che non fu un commiato, il Mae-

    stro mi porse il suo migliore arco. ® Quando

    tirer… con questo arco sentir… che la mae-

    stria del maestro È presente. Ma non lo dia

    in mano a curiosi! E quando ne sar… padro-

    ne, non lo conservi per ricordo! Lo distrug-

    ga, che non ne resti che un mucchietto di

    cenere! ¯.

     

     

    ~ . . . . . . .

    Temo intanto che in qualcuno si sia destato

    il sospetto che il tiro con l'arco, da quando

    non ha pi— parte nella lotta dell'uomo con-

    tro l'uomo, sia sopravvissuto rifugiandosi in

    una spiritualit… eccessiva e in questo modo

    si sia sublimato morbosamente. N‚ posso

    farne carico a chi cos sente.

    Rileverò dunque una volta di pi— e ancor

    pi— decisamente che l'influenza radicale

    dello Zen sulle arti giapponesi e con esse

    sull'arte del tiro con l'arco non e cosa di

    tempi recenti, ma risale a molti secoli ad-

    dietro. Una cosa È certa: che un maestro

    d'arco di tempi remotissimi, che avesse af-

    frontato la prova chiss… quante volte, non

    avrebbe potuto dire dell'essenza della sua

    arte cose diverse da quelle di un maestro del

    tempo presente in cui sia viva la 'Grande

    Dottrina'. Attraverso i secoli lo spirito di

    quest'arte È rimasto lo stesso - altrettanto

    immutabile che lo Zen.

    Ma per rispondere intanto ai dubbi ancora

    possibili e del resto comprensibili, come so

    per esperienza, voglio fare un rapido con-

    fronto con un'altra arte, il cui significato

    agonistico non può esser negato neppure

    nelle condizioni odierne: l'arte della spada.

    Tengo a farlo non solo perch‚ il Maestro

    Awa sapeva maneggiare anche la spada

    'spiritualmente' e perciò all'occasione ac-

    cennava alla sorprendente concordanza

    delle esperienze dei maestri d'arco e di spa-

    da, ma pi— ancora perch‚ si possiede un

    documento letterario di altissimo livello del

    tempo in cui la cavalleria era nella sua mas-

    sima fioritura e i maestri di spada dovevano

    essere in grado di provare la loro maestria

    nella maniera pi— irrevocabile, tra la vita e

    la morte. Ô il trattato di Takuan, un gran-

    de maestro dello Zen, L'immobile comprensio-

    ne, in cui si parla dettagliatamente del rap-

    porto dello Zen con l'arte della spada e

    se sia l'unico documento che esponga con

    tanta ampiezza e nel suo spirito originario

    la 'Grande Dottrina' dell'arte della spada;

    ancor meno so se esistano testimonianze

    simili che riguardino il tiro con l'arco. Ma

    una cosa È sicura: È una grande fortuna che

    il trattato di Takuan ci sia stato conservato,

    e un grande merito di D.T. Suzuki di aver

    tradotto senza abbreviazioni sostanziali

    questo scritto indirizzato a un famoso mae-

    stro di spada e cos averlo reso accessibile a

    una vasta cerchia di lettori.l Ordinandolo e

    riassumendolo liberamente, cercherò di

    mettere in rilievo nel modo pi— chiaro e

    conciso ciò che parecchi secoli fa si intende-

    va per maestria della spada e ciò che da

    allora si debba intendere secondo l'inter-

    pretazione concorde di grandi maestri.

    Forti delle esperienze fatte su di s‚ e sui loro

    allievi, i maestri di spada danno per prova-

    to che il principiante, per quanto forte e

    combattivo, per quanto coraggioso e intre-

    pido sia per natura, all'inizio dell'insegna-

    mento perde insieme alla spontaneit… anche

    la fiducia in se stesso. Ora impara a cono-

    scere tutte le possibilit… tecniche che nel

    combattimento mettono a rischio la vita, e

     

     

    1. Suzuki, Zen und die KulturJapans [trad. dall'originale

    inglese Zen andJapancsc Culture, New York, 1959], pp.

     

    per quanto sia prEsto in grado di affinare al

    massimo la sua attenzione, di osservare

    acutamente il suo avversario, di parare a

    regola d'arte i suoi colpi e di fare degli

    assalti efficaci, si trova peggio di prima,

    quando esercitandosi alla scherma tirava

    colpi alla ventura, secondo l'ispirazione del

    momento e del suo ardore combattivo, un

    po' per gioco, un po' sul serio. Ora deve

    ammettere di essere inferiore a ogni avver-

    sario pi— forte, pi— agile e pi— esperto, ac-

    cettare di essere esposto ai suoi colpi sicuri e

    spietati. Non vede altra via se non di eserci-

    tarsi indefessamente, e anche il suo maestro

    non sa dargli per ora altro consiglio. Cos il

    principiante fa di tutto per superare gli altri

    e persino se stesso. Acquista una tecnica

    stupefacente, che gli restituisce una parte

    della sicurezza perduta e si sente sempre

    pi— vicino alla meta agognata. Il maestro

    intanto È di diverso parere - a ragione, ci

    assicura Takuan: ch‚ tutta l'abilit… acqui-

    stata dall'allievo ha per solo effetto che ® il

    suo cuore viene trascinato dalla spada¯.

    Ma l'insegnamento iniziale non può essere

    impartito altrimenti; È perfettamente ade-

    guato al principiante. Non conduce tuttavia

    alla meta, come il maestro sa benissimo.

    Che l'allievo, malgrado il suo zelo e l'attitu-

    dine forse innata al maneggio della spada,

    non diventi un maestro di spada È inevitabi-

    le. Ma da che dipende se egli, che da tempo

    deratamente dalla passione ma a conserva-

    re il sangue freddo, se egli, che sa calcolare

    avvedutamente la sua forza fisica, si sente

    temprato per un combattimento di lunga

    durata e tutt'intorno non trova che a fatica

    un avversario della sua statura, da che di-

    pende tuttavia se, misurato con le misure

    ultime, fallisce e non va pi— oltre~

    Questo dipende, secondo Takuan, dal fatto

    che il principiante non può fare a meno di

    osservare attentamente il suo avversario e

    la sua maniera di maneggiare la spada; che

    riflette a come attaccarlo nel modo pi— effi-

    cace e spia l'attimo in cui quello si scopra

    Dipende, per dirla in breve, dal fatto che

    egli fa ricorso a tutta la sua arte e la sua

    scienza. Cosi facendo, dice Takuan, egli

    perde la ~< presenza del cuore ¯: il suo colpo

    deciso arriva sempre in ritardo e perciò egli

    non È in grado di ® volgere contro lui

    stesso ¯ la spada dell'avversario. Quanto

    plU far… dipendere la superiorit… della sua

    scherma dalla sua riflessione, dal consape-

    vole impiego della sua abilit…, della sua espe-

    rienza e della tattica, tanto pi— ostacoler… il

    libero gioco dell'® azione del cuore ¯. In che

    modo Sl ripara a questo? In che modo l'abi-

    lita diventa spirituale', in che modo la pa-

    dronanza assoluta della tecnica si trasforma

    nell'uso magistrale della spada? Solo con

    l'abbandono dell'intenzione e dell'Io, È la

     

     

    ll;!~JVi~La.. ~ ~ ,VVV. ~ r ~

    non solo dall'avversario, ma anche da se

    stesso. Lo stadio in cui ancora si trova deve

    percorrerlo tutto, lasciarlo definitivamente

    dietro di s‚ - a rischio di naufragare. Non

    suona questo altrettanto assurdo di quan-

    do, nel tiro con l'arco, si pretende che si

    debba far centro senza aver mirato, che si

    debba dunque completamente perdere di

    vista bersaglio e intenzione di colpirlo? Si

    consideri tuttavia che quella maestria nella

    spada, di cui Takuan descrive la natura, ha

    fatto mille volte buona prova proprio in

    combattimento.

    Tocca al maestro trovare non la via stessa

    che porta alla meta, ma la forma di quella

    via rispondente al carattere particolare del-

    l'allievo e assumersene la responsabilit….

    Sua prima cura sar… di renderlo capace di

    schivare istintivamente i colpi, anche quan-

    do gli vengono portati all'improvviso. D.T.

    Suzuki, in un delizioso aneddoto, ha de-

    scritto il metodo estremamente originale

    con cui un maestro adempiva a questo com-

    pito tutt'altro che facile. L'allievo deve ac-

    quistare, per cos dire, un nuovo senso o

    meglio una nuova vigilanza di tutti i suoi

    sensi, che lo renda capace di schivare i colpi

    che lo minacciano come se li avesse previsti.

    Divenuto padrone di quest'arte, non ha pi—

    bisogno di concentrare la sua attenzione sui

    movimenti del suo avversario o addirittura

    di pi— avversari alla volta= Ma, nell'attimo

    in cui vede e presente ciò che sta per avveni-

    re, Sl È gi… sottratto istintivamente al suo

    effetto, senza che tra la percezione e l'azione

    vi sia ® lo spessore di un capello ¯. Si tratta

    dunque di questo: di questa reazione imme-

    diata e fulminea, che non ha pi— bisogno di

    osservazione consapevole. E cos l'allievo,

    da questo punto di vista almeno, si È reso

    indipendente da ogni intenzione consapevo-

    le. E questo È gi… un grande acquisto.

    Ben plë difficile, e in verit… decisivo per

    l esito, È il compito successivo: impedire che

    l'allievo rifletta e cerchi di scoprire il punto

    debole dell'avversario. Anzi, d'ora in poi

    non dovr… neppure pensare che ha a che

    fare con un avversario e che si tratta di vita

    o di morte.

    L'allievo crede di aver compreso queste re-

    gole e da principio pensa- n‚ potrebbe

    essere altrimenti - che gli basti rinunciare a

    osservare e a studiare tutto ciò che riguar-

    da il comportamento dell'avversario Egli

    prende molto sul serio la rinuncia richiesta-

    gli e si controlla a ogni passo. Ma cos fa-

    cendo non s'accorge che concentrandosi su

    se stesso viene a considerarsi come uno che

    sta combattendo e che deve evitare di osser-

    vare l'avversario. Per quanto faccia, serVe-

    tamente l'ha sempre presente. Si È sciolto

    da lui solo in apparenza, ma in realt… si È

    legato a lui ancora pi— forte.

     

     

    Occorre molta e finissima arte nella gulda

    delle anime per persuadere l'allievo che con

    questo spostamento dell'attenzione in fondo

    non ha guadagnato nulla. Egli deve impa-

    rare a fare astrazione da s‚ altrettanto deci-

    samente che dal suo avversario, e cos spo-

    gliarsi radicalmente da ogni intenzione. Ô

    necessario molto esercizio paziente, molto

    esercizio infruttuoso, esattamente come nel

    tiro con l'arco. Ma se tali esercizi condur-

    ranno un giorno alla meta, l'ultimo residuo

    di intenzione - di sforzo consapevole - È

    scomparso, il distacco È raggiunto.

    Il comportamento che s'instaura natural-

    mente in tale stato di distacco, di affranca-

    mento dall'intenzione, ha una somiglianza

    sorprendente con la capacit… di schivare i

    colpi raggiunta nella fase precedente. Co-

    me, in quella, tra la percezione del colpo

    previsto e la parata non c'È lo spessore di un

    capello, cos avviene ora tra la parata e la

    risposta. Nel punto stesso in cui schiva il

    colpo, il combattente gi… si appresta a corpi-

    re, e prima ancora che se ne renda conto il

    suo colpo mortale cala, preciso e irresistibi-

    le. Ô come se la spada si movesse da sola, e

    come nel tiro all'arco si deve dire che 'Si'

    mira e colpisce, cos anche qui all'Io È sosti-

    tuito il 'Si', che si serve delle capacit… e

    della destrezza acquistata dall'Io con sforzo

    consapevole. E anche qui il 'Si' È solo un

    appellativo che si d… a qualcosa che non si

    puo comprendere ne ra~lundere a volonta

    e che si rivela solo a colui che ne ha fatto

    esperienza.2

    La perfezione nell'arte della spada consiste,

    secondo Takuan, in questo: che nessun pen-

    siero dell'io e del tu, dell'avversario e della

    sua spada, della propria spada e del modo

    di usarla, e persino della vita e della morte

    turba pi— il cuore. ® Tutto È dunque vuoto:

    tu stesso, la spada sguainata e le braccia

    che la guidano. Anzi, non c'È pi— nemmeno

    il pensiero del vuoto ¯. ® Da tale vuoto

    assoluto¯ afferma Takuan ®sboccia mera-

    vigliosamente l'azione¯.

    Ciò che vale per il tiro con l'arco e il maneg-

    gio della spada vale, sotto questo aspetto,

    per ogni altra arte. Cos, per accennare a un

    altro esempio, la maestria nella pittura al-

    l'inchiostro di China si manifesta appunto

    in questo: che la mano, padrona assoluta

    della tecnica, nell'attimo stesso in cui lo

    spirito comincia a dare forma, esegue e ren-

    de visibile ciò che esso intravede, senza che

    tra l'uno e l'altro ci sia lo spessore di un

    capello. La pittura si fa scrittura automati-

    ca. E anche qui la regola da dare al pittore

    può suonare cos: osserva per dieci anni il

     

     

    2. Suggerisco un confronto col saggio di Kleist Sul

    teatro delle marionette. Da tutt'altro punto di partenza

    Kleist Si avvicina in modo sorprendente al tema qui

    trattato.

     

     

    bamb—, fatti bamb— tu stesso, poi dimenti-

    ca tutto e - dipingi.

    Il maestro di spada È di nuovo spontaneo

    come il principiante. Quella tranquilli-

    t… dell'animo che ha perduto al principio

    dell'insegnamento, l'ha riacquistata alla

    fine come tratto permanente del carattere.

    Ma a differenza del principiante È riservato,

    calmo e modesto, non ha nessun desiderio

    di farsi valere. Tra lo stadio del principiante

    e quello di maestro stanno appunto lunghi

    anni di infaticabile esercizio, ricchi di espe-

    rienze. Per effetto dello Zen l'abilit… si È

    fatta spirituale, e l'allievo stesso, di supera-

    mento in superamento, pi— libero di grado

    in grado, È diventato un altro. La spada,

    divenuta la sua anima, non È sempre pronta

    a uscire dal fodero. La estrae soltanto quan-

    do È inevitabile. Può accadere che egli rifiu-

    ti la lotta con un avversario indegno, un

    uomo rozzo, che fa sfoggio dei suoi muscoli,

    accettando con un sorriso l'accusa di vilt…;

    ma d'altra parte può accadere che, per l'al-

    ta stima che ha dell'avversario, solleciti un

    combattimento che a quest'ultimo non por-

    ter… che una morte onorevole. Qui si mani-

    festano sentimenti che hanno determinato

    l'etica del samurai, l'incomparabile 'via del

    cavaliere', che porta il nome di Bushido.

    Perch‚, pi— in alto di ogni cosa, pi— in alto

    della gloria, della vittoria e persino della

    vita, il maestro di spada pone ®la spada

    de!!a verit… ¯, che ha imparato a conoscere e

    che lo giudica.

    Come il principiante, il maestro di spada È

    senza paura, ma a differenza di questi

    diventa ogni giorno meno accessibile a ciò

    che spaventa. In lunghi anni d'ininterrotta

    meditazione ha appreso che vita e morte

    sono in fondo la stessa cosa e appartengo-

    no al medesimo piano di destino. Cos non

    sa pi— che siano l'angoscia della vita e il

    timore della morte. Egli vive- e questo È

    caratteristico dello Zen - volentieri nel

    mondo, ma È pronto ad abbandonarlo

    senza lasciarsi turbare dal pensiero della

    morte. Non a caso lo spirito del samurai ha

    scelto a purissimo simbolo il delicato fiore

    del ciliegio. Come nel raggio del sole

    mattutino un petalo di ciliegio si stacca e

    scende a terra luminoso e sereno, cos

    l'uomo impavido deve potersi staccare dal-

    l'esistenza silenziosamente e senza turba-

    mento.

    Vivere senza il timore della morte non si-

    gnifica che in tutte le ore buone si sostenga

    di non tremare di fronte alla morte e si sia

    sicuri di superare la prova. Chi domina la

    vita e la morte, piuttosto, È libero da ogni

    genere di timore, al punto che non può pi—

    nemmeno capire che cosa sia provare pau-

    ra. Chi non conosce per propria esperienza

    la forza che d… una seria e costante medita-

    zione non può immaginare ciò che essa ren-

     

     

    de capaci di superare. Il perfetto maestro

    rivela a ogni passo, non a parole ma col

    comportamento, l'assenza della paura;

    glielo si legge in viso e se ne È colpiti. Una

    simile imperturbabilit…, che naturalmente

    solo pochi raggiungono, È dunque gi… di

    per s‚ segno di maestria. Per illustrare

    anche questo con una testimonianza, ripor-

    terò letteralmente un brano del Hagakure,

    che risale alla met… del XVII secolo.

    ® Yagyu Tajima-no-kami era un grande

    maestro nel combattimento con la spada e

    insegnava tale arte allo Shogun di quel

    tempo, Tokugavva Jyemitsu. Una delle

    guardie del corpo dello Shogun venne un

    giorno da Tajima-no-kami e lo pregò di

    insegnargli a tirare di spada. Il maestro

    disse: "Per quel che io vedo, siete voi stesso

    un maestro di spada. Prima che iniziamo

    una relazione da maestro a allievo, ditemi,

    per favore, a che scuola appartenete".

    ® La guardia del corpo rispose: "A mia

    vergogna devo confessarvi che non ho mai

    appreso quest'arte".

    ® "Volete farvi beffe di me? Io sono il

    maestro del venerabile Shogun e so che il

    mio occhio non m'inganna".

    ®"Mi duole di recare offesa al vostro

    onore, ma non ne ho veramente alcuna

     

    3. ~ lo stesso maestro a cui Takuan ha rivolto il suo

    scritto sulla ®comprensione immobile¯.

     

    conoscenza . Questa negazione recisa rese

    pensieroso il maestro, che finalmente disse:

    "Se voi lo dite, sar… cos. Ma sicuramente

    siete maestro in qualche campo, anche se

    non riesco a veder bene in quale".

    ® "S, se voi insistete, voglio raccontarvi

    quanto segue. Vi È una cosa in cui posso

    pretendere di considerarmi maestro. Quan-

    do ero ancora ragazzo mi venne l'idea che

    come samurai non dovevo in nessuna circo-

    stanza temere la morte, e da allora - sono

    passati alcuni anni - mi sono sempre battu-

    to con l'idea della morte, e alla fine questo

    pensiero ha cessato di preoccuparmi. Ô

    forse questo che intendete?".

    ® "Proprio questo," esclamò Tajima-no-

    kami "È proprio questo che intendo. Sono

    lieto che il mio giudizio non mi abbia ingan-

    nato. Poich‚ l'essere liberato dal pensiero

    della morte È ugualmente il segreto ultimo

    dell'arte della spada. Ho insegnato a centi-

    naia di allievi, per condurli a questa meta,

    ma finora nessuno di essi ha raggiunto il

    sommo grado nell'arte della spada. Quanto

    a voi, non avete pi— bisogno di alcun eserci-

    Zio tecnico, siete gi… maestro" ¯.

    La sala degli esercizi in cui s'impara l'arte

    della spada porta fino da tempi remoti que-

    sto nome:

    Luogo dell'Illuminazione.

     

    dallo Zen È simile a un lampo che erompa

    dalla nuvola della verit… universale. Questa

    È presente nella libera mobilit… del suo spiri-

    to, e nel 'Si' la incontra come la propria

    originaria e ineffabile essenza. Una essenza

    che egli riscopre continuamente quale estre-

    ma possibilit… di ciò che egli può essere,

    mentre la verit… prende per lui - e attraverso

    lui per altri- mille forme e figure. Nonostan-

    te l'inaudita disciplina a cui si È sottoposto

    con umilt… e pazienza, lo Zen non lo penetra

    e lo infiamma ancora tanto inesorabilmente

    da sostenerlo in ogni manifestazione della

    propria vita, cos che la sua esistenza non

    conosca che ore buone: perch‚ la perfetta

    libert… non È ancora divenuta per lui profon-

    dissima necessit….

    Se tale meta l'attira irresistibilmente, biso-

    gna che egli si rimetta in cammino, il cammi-

    no dell'arte senz'arte. Bisogna che osi il salto

    alle origini, per vivere della verit… come chi È

    diventato tutt'uno con essa. Bisogna che ridi-

    venti scolaro, principiante, che superi l'ulti-

    mo tratto del cammino, il pi— aspro della via

    per cui s'È messo, attraversando nuove meta-

    morfosi. Se trionfa di questa impresa temera-

    ria~ allora il suo destino si compie ed egli

    incontrer… la verit… non pi— riflessa, la verit…

    sopra tutte le verit…, l'origine senza forma di

    tutte le origini: il Nulla, che pure È il tutto-

    ne verr… inghiottito e rinascer… da esso.

    Fine.