• L'Equivoco del nuovo paganesimo-J.Evola

    Julius Evola
    L'EQUIVOCO DEL
    "NUOVO PAGANESIMO"

     

    Recentemente a Vienna, in occasione di una intervista, un giornalista, cui era noto come noi già molti anni fa in Italia avemmo a difendere un "Imperialismo Pagano", ci disse che ormai la nostra ora, in un altro paese almeno, poteva dirsi venuta. Egli alludeva naturalmente alla Germania, alle corenti più o meno affiancate al nazismo, intese a creare un nuovo spirito religioso germanico e non-cristiano. Noi rispondemmo che il tempo, piuttosto, ci sembra venuto, in cui ci troviamo quasi costretti a dichiararci, se non cristiani, almeno cattolici.
    In realtà, quello del "nuovo paganesimo" d'oltralpe è un grosso equivoco, chiarire il quale non può non offrire dell'interesse, sia per la cosa in sè, che, in una certa misura, appunto per un fatto personale di chi scrive. Noi infatti avemmo ad indicare il valore che la ripresa di alcune nostre grandi tradizioni precristane potrebbe avere per una ricostruzione in senso eroico, imperiale ed integralmente "romano" della nostra civiltà occidentale: ed oggi siamo ben lungi dal pensare diversamente che nel 1928, quando fra una certa sensazione uscí un nostro libro recante appunto il titolo Imperialismo Pagano. Senonché fra le idee da noi riprese, e ciò che viene oggi affermato in Germania come "nuovo paganesimo", esiste non solo una differenza, ma anche un'antitesi. Per cui - notiamolo di passata, e non senza riferimento alle dicerie di qualche interessato - se è vero che certe nostre opere trovano ora in Germania una risonanza maggiore che in Italia, altrettanto vero è però che una tale risonanza si riferisce assenzialmente ad ambienti dell'antica Germania conservatrice e per nulla alle nuove correnti pagane, con le quali insomma non abbiamo nessun rapporto, e con lo stesso fronte semi-ufficiale di Alfred Rosenberg.
    Il Rosenberg tanto interesse dimostrava per noi quando credeva, per sentito dire e per l'equivoco, appunto, del termine generico "pagano", che fossimo sulla sua stessa linea, altrettanta frigidità sembra dimostrare ora che è venuto propriamente a conoscenza dei nostri veri punti di vista. I quali, se possono avere un'azione in Germania, è quella di mostrare la deformazione che molte idee, suscettibili di un significato superiore, hanno subíto in una adattazione avente per mira scopi puramente empirici e tendenziosamente politici.
    Ma vediamo ora in che consiste propriamente ed oggettivamente l'equivoco del neopaganesimo nordico e proponiamoci di esaminare la quistione nel modo più impersonale: chiediamo venia a coloro che forse perferirebbero vederci usare le parole d'ordine oggi, a tale riguardo, più d'uso fra noi, ma ormai più o meno note a tutti.
    Il primo punto da fissare è che la scelta del termine "pagano" per designare in genere visioni del mondo e tradizioni estranee ai quadri del cristianesimo è tutt'altro che felice, onde noi stessi ci rammarichiamo di aver precedentemente usato questa espressione. Paganus, infatti, è un termine essenzialmente dispregiativo se non ingiurioso, adoperato ad uso polemico dalla prima apologetica cristiana. Senonché non solo come termine, cioè come parola, bensí anche come contenuto e come concetto esiste un "paganesimo", che è una escogitazione polemica e che trova ben poco riscontro nel mondo pre-cristiano e non-cristiano quale veramente fu, prescindendo da periodi di palese decadenza. Per affermare e glorificare la nuova fede, una certa apologetica cristiana procedette ad una deformazione e ad una svalutazione spesso sistematica di quasi tutte le dottrine e le tradizioni precedenti, alle quali poi si fece corrispondere la designazione complessiva e dispregiativa di "paganesimo".
    Orbene, noi ci troviamo di fronte più o meno al seguente paradosso: un tale "paganesimo" mai esistito, generato polemicamente dell'apologetica cristiana militante, minaccia proprio oggi di esistere per la prima volta, appunto per opera dei neopagani e degli anticristiani della nuova Germania.
    Quali sono i tratti principali della visione pagana della vita, così come detta apologetica l'ha supposta e l'ha diffusa?
    Anzitutto: naturalismo. La visione pagana della vita avrebbe ignorato ogni trascendenza. Essa sarebbe rimasta in una promiscuità fra spirito e natura. Il suo limite, sarebbe stato una mistica delle forze naturali (é la vecchia storia della "Selva" opposta al "Tempio") e una divinificazione superstiziosa delle energie delle razze, allevate da altrettanti idoli. Da cui, in primo luogo, un particolarismo e un politeismo condizionato dalla terra e dal sangue. In secondo luogo, l'assenza del concetto di personalità e di libertà, uno stato di innocenza, che è semplicamente quello proprio agli esseri di natura, a coloro che ancora non si sono destati a nessuna aspirazione veramente sovranaturale. Di contro al determinismo e al naturalismo "pagano" sorge per la prima volta col cristianesimo un mondo della libertà sovramondana, cioè della grazia e della personalità; un ideale "cattolico", vale a dire, etimologicamente, universale; un sano dualismo, che permette la subordinazione della natura ad un ordine superiore, ad una legge dall'alto.
    Questi sono i tratti principali, schematici, della concezione più corrente del paganesimo. Tutto quel che essa presenta di inesatto e di unilaterale, vi è appena bisogno di farlo rilevare a chiunque abbia, in fatto di storia delle civiltà e delle religioni, una conoscenza diretta anche soltanto elementare: e del resto già nei quadri della prima patristica - in un Origene, in un Clemente Alessandrino, in un Giustino, ecc. - assai spesso si dette prova di una comprensione assai maggiore dei princ“pi e dei simboli della precendente civiltà. Qui non possiamo mettere in risalto che qualche punto.
    Anzitutto, ciò che caratterizzò il mondo non-cristiano in tutte le sue forme superiori, non fu una divinificazione superstiziosa della natura, bensì una comprensione simbolica di essa, per via della quale ogni fenomeno ed ogni azione apparì come la manifestazione sensibile di un mondo sovrasensible: la concezione "pagana" dell'uomo e del mondo abbe essenzialmente carattere simbolico-sacrale. In secondo luogo, il modo "pagano" di vita non fu per nulla una naturalistica licenza: nelle forme originarie e di alta tensione dell'antica Roma, dell'antica Ellade, delle antiche civiltà indogermaniche d'Oriente, ecc., non vi fu aspetto della vita, sia individuale che collettiva, che non fosse accompagnata, sorretta e animata da un rito corrispondente, cioè da una azione e da una intenzione spirituale concepite come oggettivamente efficaci. In terzo luogo, il mondo "pagano" conobbe già un sano dualismo: esso si ritrova non solo in grandi concezioni speculative - limitiamoci a nominare un Platone e un Çankara - ma altresì in visioni religiose generali, come quella antigonistica a tutti nota degli Indoeuropei dell'antico Iran, come l'opposizione ellenica fra le "due nature", come quella fra mondo degli Asen e mondo elementare degli antichi Nordici, o quella fra "via solare" e "degli Dei" e "via della terra", fra "vita" e "liberazione della vita" degli antichi indú, e via dicendo, in connessione a ciò, l'aspirazione ad una libertà sovrannaturale, cioè ad un compimento metafisico della personalità, fu comune a tutte le grandi civiltà precristiane, le quali conobbero tutte una "iniziazione" e celebrarono i loro "misteri".
    L'innocenza naturalistica pagana è una tale favola, che essa non si ritrova nemmeno fra i selvaggi: quella forma che, per alcuni, sarebbe il suo limite, cioè l'ideale classico, non sta al di qua, ma al di là del dualismo fra spirito e corpo essendo l'ideale di uno spirito resosi così dominante, da plasmare interamente il corpo e l'anima a sua imagine, in perfetta corrispondenza di contenente e contenuto.
    In quarto luogo, un'aspirazione universalistica è da constatarsi dovunque, nel mondo "pagano", nel ciclo ascendente di una razza superiore, si manifestò una vocazione all'impero: e una tale vocazione spesso fu anche metafisicamente potenziata e apparve come una naturale conseguenza dell'estensione dell'antica concezione sacrale dello Stato e come la forma propria in cui tende a manifestarsi una presenza vittoriosa del sovra-mondo nel mondo. A tale riguardo potremmo ricordare l'antica concezione iranica dell'impero quale "corpo" del "Dio di Luce", la tradizione indo-aria del "Signore Universale" o "çakravatri", e così via, fino a giungere alla teoria "solare" del tardo impero romano, il quale ebbe un contenuto rituale e sacrale nel culto imperiale, che si pose non come la negazione, bensí come la culminazione gerarchia unificatrice di un pantheon, cioè di una serie di culti condizionati della terra e dal sangue. E per moltiplicare rettificazioni del genere, senza un'ombra di tendenziosità vi sarebbe solo l'imbarazzo della scelta.
    Colui che si rendesse ben conto di tutto ciò, e riconoscesse che è una pessima tattica difendere la propria tradizione discreditando quella degli altri, avrebbe facile modo di vedere la via per superare ogni unilateralezza dettata da spirito di parte, per dare ad ognuno il suo, per separare il positivo dal negativo, e dal contingente nelle varie forme storiche, ma soprattutto per venire ad una visione più completa, ad un punto di vista veramente universale, tale che ad esso possa davvero applicarsi l'assioma "cattolico" quod ubique, quod ab omnibus et quod semper. Si potrebbe cioè enucleare un corpo di principi, da dirsi "tradizionali" in senso eminente, perché essi apparirebbero, in fondo, anteriori e superiori - metafisicamente - a qualsiasi particolare di queste tradizioni o religioni. È su questo piano, e senza la minima animosità, con la fermezza, invece, che proviene dalla giusta visione, che si potrebbe poi anche procedere ad una revisione dei valori, sia nel senso di limitare o gerarchicamente subordinare la validità di alcune concezioni particolari, specificatamente ebraiche, del cristianesimo, sia nel senso di riportare alla loro giusta luce molti aspetti dimenticati di grandi tradizioni di un passato più remoto, anteriore al cristianesimo, per saggiare quali fra di essi, senza anacronismi, potrebbero eventualmente ancora oggi venir chiamati a vita e agire in modo creativo, non contro la Chiesa e il Cristianesimo, ma, se mai, di là dall'una e dall'altro, in una determinata èlite.
    Orbene, assolutamenta nulla di simile è da ritrovarsi nel neo-paganesimo germanico. Anzitutto, come dicevamo, e quasi cadendo in una trappola appositamente preparata, i neopagani finiscono col professare e difendre dottrine riducentesi più o meno al paganesimo fittizio, naturalistico, privo di luce, privo di trascendenza, vincolato dal sangue, pervaso da un misticismo sospetto, creato polemicamente proprio dalla dialettica dei loro avversari. Ma, come se ciò non bastasse, si ripete quell'opera partigiana di tacitamento degli aspetti superiori, di risalto degli aspetti contingenti o deteriori del cristianesimo e del cattolicesimo, che già era stata esercitata sul "paganesimo" vero, e, infine, si mette mano a sinistre concezioni di tipo prettamente moderno, illuministico e razionalistico, che già erano scese in campo contro la Chiesa e il cristanesimo sotto il segno - miracolo dei miracoli - del liberalismo, della socialdemocrazia e della massoneria.
    Infatti, null'altro che questo può ravvisarsi, quando il nuovo paganesimo si dà all'esaltazione dell'immanenza, della "vita" e della "natura" creando una nuova superstiziosa religione che è nel più stridente contrasto con ogni superiore ideale "olimpico" delle antiche civiltà d'Oriente e d'Occidente e andando ad accusare in ogni dualismo ascetico un prodotto di degenerescenza antiariana inoculalto dalla razza levantina; quando nega ogni verità superiore alla razza e alla mistica della razza e non esita a mettere ogni concezione sovrannaturale del conoscere e dell'agire, e così anche il "sovrannaturalismo" cristiano e l'intera dottrina cattolica dei sacramenti e del miracolo, a carico delle superstizioni dell'"oscuro Medioevo" e della tattica di dominio dei preti per esaltare invece le "conquiste" proprie al cosiddetto libero esame e alle scienze profane moderne; quando riesuma le vecchie storielle anticattoliche circa l'inquisizione e la donazione costantiniana e si scandalizza di fronte a quella pretesa di infallibilità, che, in civiltà normali, sempre veniva tranquillamente riconosciuta a tutti coloro che fossero veramente pervenuti alla conoscenza metafisica; quando, verosimilmente sotto l'inconscia angoscia per orizzonti troppo vasti, nell'universalismo non sa vedere che una creatura del despotismo ebraico-romano letale per le nazionalità o un prodotto del caos etnico di un clima di decadenza, invece che una superiore unità gerarchia e una esigenza spirituale; quando, associando un fanatismo per la nazione di sapore alquanto giacobino col sospetto romanticismo dell'"eroismo tragico" e dell'"amore per il destino" esso da un lato ridesta a vita la mistica dell'orda primordiale, dall'altro fomenta una rivolta del potere temporale contro ogni autorità spirituale, fino al tentativo di ridurre la seconda ad una mera promanazione del primo.
    Tutto ciò è sul serio "paganesimo" nel senso negativo desiderato dall'antica apologetica militante, ma, in più, è confusione, regressione, perdita di ogni vero orientamento, soggiacenza a suggestioni irrazionali e, infine, dilettantismo, fanatismo e incultura. Qualcuno, in Italia, ha trovato una espressione assai felice nel dire che, mentre il nazismo accusa il cattolicesimo di far della politica, la verità vera è che esso spesso fa della religione. Ciò è, in larga misura, vero. Il nuovo paganesimo è il prodotto di una trasposizione della politica nella religione, per cui perfino la religione si fa politica, laddove, nei tempi antichi si faceva religione. Esso, lungi dal rappresentare, come pretenderebbe, un ritorno alle origini, ci si presenta essenzialmente come una deformazione delle origini e come la risultante di elementi derivati esclusivamente della disgregazione anti-tradizionalistica moderne e, più propriamente, da questi tre elementi: dal pathos della "nazione" divinificata più o meno giacobinamente, dell'immanentismo naturistico moderno e infine di una attrezzatura di tipo razionalistico e scientista, la quale si ritrova, poi, nello stesso paradossale connubio con il misticismo, in ciò che è propriamente tecnica "razzista".
    Certo, noi non vogliamo contestare che presso a tali elementi si agitino, nel fermento dell'ultima cultura tedesca, anche esigenze di diverso valore e per questo ci siamo astenuti dal riferimento a particolari autori: ma si deve in ogni modo constatare che il tono generale è dato dal "paganesimo" ora accennato e che è soprattutto in funzione di esso che si stanno formando, in Germania, nuovi miti, e che si esasperano gravi conflitti spirituali. Ma se cosi stanno le cose, dovendo uscire dalla neutralità di fronte ad un conflitto fra un nuovo paganesimo ed il cristianesimo, è evidente che ad onta di ogni buona volontà sarebbe impossibile schierarsi dalla parte del primo, specie poi se, più che non di cristianesimo in genere, si tratti di Cattolicesimo e di Chiesa cattolica. Se non altro, il Cattolicesimo può assolvere ad una funzione di sbarramento portatore di una dottrina della trascendenza, finché esso sussisterà, impedirà che la mistica dell'immanenza e le invasioni prevaricatrici dal basso si portino oltre un certo segno. Inoltre, si può essere simpatizzanti finché si vuole con una teoria del superuomo, negli aspetti in cui essa può riflettere i valori più virili dei periodi di alta tensione delle nostre più antiche civiltà; purtuttavia la stessa etica cristiana della rinuncia, del sacrificio e dell'umiltà viene ad avere una funzione ben precisa - la funzione di un necessario contrappeso - quando ogni dottrina dell'eroismo, dell'affermazione, della potenza e della virilità resti su di un piano affatto secolare, umanistico e materialistico come oggi quasi senza eccezione si vede accadere.
    Questa rivista non è precisamente dedicata a menti non adulte, da non disturbare con punti di vista diversi da quelli della mentalità corrente e conformista. Perciò si può dire che secondo la prospettive di chi scrive il Cattolicesimo non si presenta come l'unico ed esclusivo portatore dei valori sopra accennati, e nemmeno come la dottrina nella quale un punto di vista integralmente "tradizionalista" può trovare una espressione completa ed inattenuata di tipo schiettamente metafisico.
    Ma è evidente che di fronte a tendenze, per le quali, alle fine, il Cattolicesimo rappresenta già un "troppo" e per questo esse cercano di "superarlo", per fare, col ritmo di avanzata del gambero, in confusioni, deviazioni e soggiacenza alla forze meno intellettuali e meno controllabili del mondo attuale, è evidente che di fronte a tali tendenze è inutile riferirsi a tali più vasti orizzonti e far sì che, per un capovolgimento distruttivo, un punto di vista che potrebbe esser di "supertradizione" vada comunque a confortare e fomentare punti di vista, che sono semplicemente di antitradizione.